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Il passaggio dall’adolescenza all’età adulta, la scoperta dell’amore, del sesso e delle relazioni sociali è stato affrontato spesso nella storia del cinema. Al di là dei risultati più o meno validi, i film che ne trattano si appiattiscono frequentemente in un approccio che ne determina il target, tanto da venir semplicisticamente catalogati nel genere adolescenziale. Con un giudizio aprioristico,
“Non è facile diventare un tifoso di calcio, ci vogliono anni, ma se ti applichi ore ed ore entri a far parte di una nuova famiglia”. Ultimamente il tifo è tornato ad essere al centro di dibattiti e polemiche, come avviene ciclicamente ogni volta che le intemperanze degli ultras sconvolgono la morale comune. Si assiste quindi a partite dialettiche giocate da due schieramenti: chi vorrebbe chiudere
Ciclicamente si sente parlare di crisi. Viene prima paventata come uno spettro, poi attesa come un uragano ed infine subita, con strascichi che lasciano il segno. Chi c’è dietro? Cosa succede nella mente di chi ha la possibilità di tenere in mano le sorti del mondo? Margin Call cerca di dare una risposta a queste domande. Eric Dale (Stanley Tucci), capo settore della Gestione rischi in una banca di credito
“La sera del 21 settembre 1945 io morii”. Comincia così “Una tomba per le lucciole”, film d’animazione del 1988, sceneggiato e diretto da Isao Takahata. Tratto dal racconto omonimo di Akiyuki Nosaka, il film ebbe un enorme successo in Giappone e venne distribuito in Italia soltanto nel circuito home video. La voce fuori campo del prologo è quella del quattordicenne Seita, che
Il film d’animazione era in passato l’evento di Natale. La Disney si confermava, anno dopo anno, regina incontrastata del cartone animato. Storie importanti, il Bene contrapposto al Male, musiche evocative a sottolineare i momenti clou e un messaggio positivo a indicare la morale: ingredienti infallibili e incassi sicuri al botteghino. Poi arrivò Shrek, precursore del nuovo filone, votato più all’umorismo
Scappare a volte è la cosa più semplice. Soprattutto quando la vita ci pone di fronte a difficoltà apparentemente insormontabili. Hushpuppy (Quvenzhané Wallis) è una bambina di 6 anni, che vive con il padre Wink (Dwight Henry) in una comunità del sud della Lousiana chiamata “La grande vasca” per gli allagamenti che si susseguono a causa dei cicloni. L’arrivo di un uragano mette in fuga
A volte la follia più grande risiede proprio nella volontà di giustificare la follia stessa. Cosa rende un uomo accecato dalla gelosia più folle di chi segue con una scaramanzia maniacale le partite di football, o di chi finge una vita felice e sfoga la rabbia repressa devastando il garage ascoltando heavy metal? Eppure il pazzo è Pat (Bradley Cooper), finito in un ospedale psichiatrico dopo aver picchiato
Le prénom. Questo è il titolo originale del film, opera prima per il cinema di Alexandre de La Patellière e Matthieu Delaporte. Tradotto letteralmente sarebbe “Il nome”. E probabilmente avrebbe avuto più senso. La cena si svolge a casa di due professori, Elizabeth (Valérie Benguigui) e Pierre, che ospitano il fratello di lei, Vincent con sua moglie incinta e un amico. La notizia del nome scelto
Welcome è una parola che ha una potenza devastante. Significa “benvenuto”, presuppone accoglienza, tolleranza, rispetto. Non prevede distinzioni o filtri, semplicemente apre le porte a chi bussa. Se avesse un corpo, avrebbe braccia spalancate e un sorriso. Welcome è la parola che compare sullo zerbino di un uomo che ha denunciato alla polizia il suo vicino di casa, reo di aver aiutato un clandestino
Adulti e bambini. Insegnanti e alunni. Mondi contrapposti, generazioni troppo distanti, ruoli in contrasto per definizione. Ma nonostante ciò, le dinamiche delle reazioni alla vita seguono gli stessi percorsi. Monsieur Lazhar, film franco-canadese candidato agli Oscar 2012 come miglior film straniero, affronta il tema della morte dal punto di vista di chi resta, di chi sente su di sé il peso dell’abbandono,
Esistono film che raccontano storie. A volte leggere, a volte tragiche. Storie. Poi esistono film che sono esperienze. Difficilmente inquadrabili in una categoria predeterminata. Fanno urlare allo scandalo o al capolavoro, reazioni opposte allo stesso schiaffo che rappresentano per lo spettatore. Enter the void appartiene sicuramente alla seconda categoria. Non è facile definire quest’opera.
Capita spesso che per la distribuzione di un film straniero in America si renda necessario un remake di produzione Hollywoodiana. Altrettanto frequentemente ciò che ne risulta è una brutta copia, in cui si perde l’essenza dell’idea originale, in favore di una presentazione più sfarzosa. Funny Games rappresenta una valida eccezione.