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Classe 1988, impegnata e oltreoceano. Dopo una laurea intitolata “Affective computing e Entertainment Technologies” al Politecnico di Milano, Antonella Belfatto si sta specializzando in ingegneria biomedica rivolta alle tecnologie elettroniche. Al momento è all’University of Houston, dove sta lavorando a un progetto di modellizzazione di sviluppo tumorale.

Come è nato il tuo interesse verso un corso così particolare, che dal metodo ingegneristico raggiunge l’ambito sanitario, coniugando due aspetti molto articolati e così indispensabili allo sviluppo della cura umana? La scelta dell’università non è stata semplice per me, avevo molte idee su cosa mi piacesse fare, ma nessuna su cosa sarei voluta diventare; ho preso la questione molto sul serio, mi sono informata, ho chiesto consigli e ad un certo punto tra medicina e lingue orientali, che erano le mie iniziali inclinazioni, è spuntata fuori ingegneria biomedica. Sono sempre stata affascinata dalla matematica e mi ha subito incuriosito molto l’idea di poterla utilizzare in maniera pratica, applicandola all’ambito sanitario e apportando davvero un contributo personale con i miei studi e il mio lavoro alla ricerca, ma ammetto che allora questo pensiero era alquanto astratto.

 

 Per quale motivo ti trovi a Houston? Potrei dire per il momento di essere un’ospite in questa città. Sto svolgendo una tesi riguardante la modellizzazione di sviluppo tumorale, ossia sto cercando di simulare l’evoluzione di un tumore nel tempo anche in presenza di terapie con lo scopo ultimo di riuscire a fornire uno strumento di decisione all’oncologo, in grado di prevedere quale approccio terapeutico possa condurre al migliore risultato in termini di salute. Dato che si tratta di un progetto appena avviato per il nostro ateneo in Italia,  sono venuta fino alla University of  Houston per osservare e ricevere consigli preziosi da chi lavora in questo settore già da lungo tempo, trovando gentilezza e professionalità. È stato emozionante capire quello che la ricerca può fare quando sostenuta da strutture pubbliche e private che investono grosse somme di denaro, non per spirito caritatevole, ma perché ben consapevoli di avere grosse possibilità di guadagno. La ritengo un’importante esperienza.

Sei stata una ragazza come tante alle prese con la preparazione dei test d’ingresso, l’ansia dei risultati e per te l’entusiasmo dell’esito positivo. Cosa ne pensi di queste famigerate prove d’ammissione, il fatto che facciano tanto sudare, parlare e polemizzare? Per accedere al corso di laurea in Ingegneria Biomedica al Politecnico di Milano ho dovuto fare un test. Nel mio caso non si trattava di un test competitivo, nel senso che per essere ammessi ed aver la possibilità di sostenere gli esami bisognava dimostrare di avere una certa conoscenza di base a livello scientifico e linguistico, quindi una volta raggiunto un certo punteggio, comunicato immediatamente, potevi immatricolarti indipendentemente dall’esito degli altri aspiranti studenti. Mi sono trovata però alle prese anche con altri test. Credo che sia giusto che alla laurea arrivino solo persone competenti nella loro materia e che ultimamente sembra che alcune facoltà siano più di moda rispetto ad altre e da questo nasca la necessità di limitare un esubero eccessivo di certe figure professionali, ma è il modo in cui avviene lo sbarramento a sembrarmi poco convincente,  non sempre qualche decina di domande di un test riescono a discriminare correttamente chi merita una possibilità di studiare per ciò che sogna di diventare e chi non ha i requisiti adatti, senza andare a ricordare le varie irregolarità di tanto in tanto scoperte sull’attuazione dei tanto discussi test.

Dopo la predilezione per il Politecnico, come hai conciliato le tue esigenze personali con un percorso di studio ed esperienziale così impegnativo? Hai trovato dalla tua parte professori che ti hanno aiutata ad inseguire la tua missione? Devo dire che di opportunità me ne sono state offerte molte, alcune erano esperienze aziendali in Italia, altre  di ricerca in Europa e una addirittura in Australia! Negli anni ho trovato molti professori stimolanti, alcuni invece pur essendo competenti nel loro settore non sono riusciti a trasmettermi veramente la loro materia e credo che questo influenzi tantissimo il percorso di una persona, di certo ha influenzato le mie scelte ad esempio portandomi a preferire il ramo informatico ed elettronico agli altri. Sono stata fortunata, ma di difficoltà ne ho dovute affrontare diverse da quando sono partita, quando si inizia qualcosa di nuovo è tutto da inventare.

Tornerai. Ma, dove vedi il tuo futuro? Com’è la tua vita lì e cosa porteresti in Italia della tua esperienza oltreoceano? Tornerò, questo è certo, ma dove sarò il giorno dopo essere rientrata in Italia non lo so ancora; questo mi spaventa tanto quanto stimola la mia fantasia. Non penso di poter fare vere e proprie previsioni a lungo termine, quello di cui sono certa è che non sarò la stessa persona che è partita. Cosa farò?  Forse prenderò in considerazione il dottorato e in Italia le università sono le principali realtà in questo campo, quasi le uniche probabilmente. In questo periodo cercare lavoro nel nostro paese non è semplice, ma è il posto dove si trovano le mie radici e soprattutto i miei affetti, e nonostante i tantissimi limiti e difetti di questa nostra penisola, se ne avessi la possibilità è in questo luogo che preferirei mettere in pratica quello che ho imparato a Milano prima e a Houston poi; anche se mi richiedesse dei compromessi a livello economico e di standard di vita la mia prima scelta sarebbe l’Italia, ma se, ipotesi purtroppo alquanto probabile, dovessi trovarmi davanti alla mancanza della prospettiva di un lavoro realmente legato a quello per cui ho studiato, penserei di tornare all’estero, almeno per un po’.