Forse per l’immediata vicinanza del centro cittadino ad aree boschive e montane, la tradizione montana ad Ascoli è sempre stata forte e sentita: in un periodo in cui raggiungere il Gran Sasso o i vicini Monti Sibillini era tutt’altro che facile, questa felice congiunzione ha permesso l’affermarsi di un gusto escursionistico di massa e ha fatto sì che molti giovani ascolani potessero sciare durante l’inverno e nella bella stagione arrampicare con facilità, grazie alla presenza nella zona di Rosara di numerose falesie.
Leggi anche: Alpinismo: patrimonio immateriale dell’umanità
La storia del Cai di Ascoli
Il 1883 può essere considerato una data simbolo per la storia dell’alpinismo piceno: il 3 gennaio si tiene, infatti, l’assemblea costitutiva del Cai di Ascoli, in una sala dell’albergo Posta, ad opera di Prospero Polimanti. Il sodalizio era stato fondato a Milano, da Quintino Sella, nel 1863, appena vent’anni prima. La sezione ascolana, a poco dalla fondazione, ha sede in pieno centro cittadino, a Piazza del Popolo, e conta
tra i 70 e i 100 soci. Dopo vicende altalenanti, il 1890 è un anno sfortunato per la sezione: muoiono alcuni soci e Polimanti stesso, tanto che nel 1892 il Cai Centrale prende atto del suo formale scioglimento.
Per circa 35 anni mancano sulla stampa cittadina notizie di rilievo riguardo la vita montana della città ma, a partire dagli anni Venti, è il neonato regime fascista ad interessarsi dei traguardi e della vita sportiva, incentivando fortemente l’alpinismo: escursionismo e sci diventano momenti fondamentali di coinvolgimento ed addestramento giovanile. D’altro canto, l’escursionismo entra a far parte anche delle attività ludiche, grazie alla vicinanza della Montagna dei Fiori, dove, dagli anni ’30, famiglie e comitive salgono sempre più numerose alla volta di San Marco e San Giacomo. Così, proprio nel 1930, in ambito fascista, rinasce la sezione Cai: “Sezione del Club alpino italiano – Ri-fondazione del Club. Aderendo alla richiesta di alcuni appassionati della montagna e degli sport invernali, S.E. Manaresi ha autorizzato
la costituzione in Ascoli Piceno di una sezione del Club alpino italiano. Tale sezione avrà in seno un gruppo di sciatori affiliato alla Federazione italiana dello sci. Le domande d’iscrizione verranno raccolte dal camerata Vecchiotti presso la Federazione Provinciale Fascista. Non crediamo di aggiungere nessuna parola di raccomandazione. Ascoli che ha a breve distanza dalle sue mura monti meravigliosi non può rimanere estranea al movimento escursionistico ed alpinistico italiano“.
Da quel momento, l’alpinismo ascolano fiorisce enormemente ed esplode negli anni ’50, tra chiodature di falesie nella zona del Dito del Diavolo, salite sui Sibillini – sul Monte Vettore in particolare – ed avventure sulle pareti del Gran Sasso.
Un ricordo di due personaggi: Orsini e Cantalamessa
C’è un personaggio al quale la comunità ascolana appassionata di montagna è particolarmente legata: Tiziano Cantalamessa (1956-1999), “padrone” del Gran Sasso e delle vette ascolane, da quelle della Montagna dei Fiori a quelle dei Monti Sibillini, tra Monte Vettore e Pizzo del Diavolo. Le sue più belle e famose scalate hanno avuto come teatro il Corno Grande del Gran Sasso, con i suoi 2.912 m slm, la cima più alta dell’Appennino Centrale, tanto che tra 1980 e 1999 (anno della sua prematura morte, a causa di un incidente) riesce ad aprire diverse nuove vie.
Originario di Ascoli anche Antonio Orsini (1788-1870), naturalista e geologo che, nel 1840, effettua la prima ascensione di un altro famoso picco del Gran Sasso, il Corno Piccolo, e grande studioso della Vipera Ursini, la più famosa d’Europa. Il naturalista Orsini, per le sue ricerche e i suoi studi, frequenta assiduamente la montagna, tanto da essere considerato tra i capostipiti della storia dell’alpinismo non solo ascolano ma di tutte le Marche.