Performer, coreografo e regista con una lunga esperienza maturata tra le fila del gruppo Lenz Rifrazioni di Parma iniziata fino al 2006. La laurea in Storia dell’Arte Contemporanea ha acuito in lui una visione teorico/critica dei meccanismi di visione contemporanea e dei linguaggi scenici; nel 2007 la sua prima creazione da artista indipendente: “Your girl”. Conoscere Alessandro Sciarroni vuol dire penetrare nel mondo dell’arte visiva dove luci, suoni e movimenti costruiscono una dinamica del mondo dal personale all’universale. Amante della fotografa americana Diane Arbus che ha lasciato impresso nella sua memoria il seme della straordinarietà.
San Benedetto e le Marche hanno saputo riconoscere la sua valenza artistica. Officina Concordia, Teatro Stabile delle Marche e Amat hanno saputo intercettare il suo talento. Come sono sorte le collaborazioni con associazioni, produzioni e sostenitori? Mi sono spostato da Parma nel 2006, città in cui ho vissuto per circa dieci anni, e ho aperto l’associazione Corpoceleste_C.C.00# a San Benedetto del Tronto dove sono nato, ho scelto la provincia. Questo mi ha permesso di entrare più facilmente in contatto con il sistema di concessione di spazi e di fondi per iniziare a produrre. Allo stesso tempo, la scelta della provincia ha limitato di molto le spese da sostenere per aprire quelle attività; così ho iniziato tenendo un laboratorio di formazione teatrale e prendendo in affitto una sala di una scuola di danza per alcuni giorni alla settimana. Nel 2008 vincemmo la seconda edizione del premio Nuove Sensibilità con lo spettacolo “If I was Madonna”. Il lavoro venne prodotto grazie al sostegno dei partner marchigiani del progetto: Amat e Teatro Stabile delle Marche, partner produttivi che hanno sostenuto tutti i miei successivi lavori. La collaborazione è nata quindi grazia alla vincita di un premio, ma è continuata negli anni grazie ad una relazione di stima e fiducia reciproca.
Tra i linguaggi della performance, oltre a una innegabile maestria visiva, ci sono il suono e la ripetizione che segnano il battere e levare dello spazio e il tempo. Nelle opere di Alessandro Sciarroni s’intrecciano anche danza, teatro e tradizione – in “Folk-s” per esempio la danza popolare mentre in “Untitled” la giocoleria – interpretati in chiave contemporanea. Da dove trai ispirazione? Come nascono le tue performance? Come traduci questi elementi dal contesto originario al palco? Quello che muove la mia ricerca normalmente è un’intuizione inaspettata: mi capita di trovarmi in un luogo e di assistere a un evento che in alcuni casi mi fa avere la sensazione che il tempo stia rallentando e che io mi trovi esattamente in quel luogo e in quel momento. Questo è capitato per esempio rispetto a “Folk-s”, quando per la prima volta ho visto un’immagine di un danzatore con l’abito tradizionale tirolese-bavarese; come quando mi trovavo ad assistere a uno spettacolo di magia-giocoleria e nel momento in cui ho visto due giocolieri che lanciavano in aria le clave ho avuto un’intuizione che mi ha fatto capire che quella pratica andava indagata. È qualcosa di assolutamente soggettivo da un lato, ma anche universale. Più si riesce ad andare nello specifico e si riesce a fotografare un evento nei suoi dettagli, più si riuscirà a parlare di qualche cosa che riguarda tutti noi. Successivamente produrre lo spettacolo vero e proprio equivale alla risoluzione di un enigma, dalla creazione alla presentazione al pubblico, attraverso il quale cerco di far risuonare quello stesso desiderio di risoluzione. E la ricerca continua sul palco, con gli spettatori. I lavori che riescono meglio sono quelli che sciolgono l’enigma solo in parte.
Veicolare messaggi dal palco allo sguardo attraverso un concetto, un’idea, un segno o, semplicemente, l’uomo. Può la sensibilità essere il trait d’union tra l’interprete e lo spettatore o cos’altro? Cosa deve trarre e portare con sé lo spettatore dopo aver assistito a una tuo opera? Alla base del mio desiderio di mostrare un lavoro a un pubblico c’è il bisogno di ottenere uno scambio di energia con chi assiste all’evento (e questo è un concetto molto importante per chi fa performance). In “Folk-s” ripetiamo all’estremo le stesse sequenze di una danza tradizionale antichissima. Rispetto a quel fenomeno, alla tradizione, alla sua stessa sopravvivenza, per me è molto importante che il pubblico in sala abbia la possibilità di scegliere fino a quando guardare. Voglio che i performer, nel momento stesso in cui perdono la concentrazione a causa della durata, oppure della stanchezza, abbandonino la performance. Voglio che tutti nella sala si sentano responsabili di ciò che sta accadendo e del perpetuarsi dell’evento. Oggi mi sembra quasi impossibile l’idea di poter tornare a produrre lavori senza chiamare in causa lo spettatore. Ma non si tratta di interazione, come negli anni settanta, si tratta di responsabilità ed energia. Rispetto a ciò che il pubblico deve trarre o portare con sé; non saprei, non ho risposte assolute, posso solo dire che mi auguro ogni volta che il pubblico riesca a vedere ciò che io ho visto durante le prove e che mi ha spinto a mostrare quell’evento.
Insignito del Premio Danza & Danza 2012 per “l’indefessa ricerca al confine tra danza, teatro e performing art e la rara consapevolezza intellettuale (…) a cui si aggiunge una maniacale perfezione nei lavori, capaci di restituire suggestioni visive di straordinaria efficacia ed emozioni”. Una motivazione al premio che traccia un tuo ritratto fedele e un futuro da scrivere. Che progetti ci sono per il 2014? Per il futuro? Ci sono in previsione tappe nei luoghi della cultura marchigiani? Quest’anno è un anno di ricerca e tournée. Fortunatamente giriamo tanto in tutta Europa. Contemporaneamente inizierò dei periodi di ricerca per il nuovo lavoro che vedrà la luce nel 2015, con dei non vedenti, in Spagna, in Francia e a Bassano del Grappa, con il Centro per la Scena Contemporanea (un altro dei miei produttori storici), mentre i partner marchigiani saranno i produttori principali del progetto. Oltre a questo ho ricevuto delle commissioni: dalla Biennale di Venezia per creare uno studio con alcuni danzatori che presenteremo a giugno, da diversi partner europei per un progetto di ricerca che si chiama Performing Gender sull’identità di genere e da alcuni centri europei e canadesi sul concetto di migrazione per la realizzazione di un progetto che si chiamerà Migrant Body.