VL In una riga. Un’esigenza grafica più che verbale. Forte e chiaro il messaggio. Ciò nonostante, ci fai entrare nel tuo universo artistico, a parole tue? “Ho sempre preferito disegnare piuttosto che parlare, da quando ne ho memoria è il modo di rapportarmi con l’esterno. La mia è una ricerca grafico pittorica che prende spunto da scene di vita, le più semplici: i movimenti più naturali, impercettibili, anche banali se vogliamo, come la camminata, i vari passaggi, le gestualità. La mia ispirazione è il quotidiano, una persona che passa in bicicletta. Vado a periodi. Mi spiego meglio: quest’estate mi ero concentrato su scene di vita balneare; accompagnavo al mare la mia fidanzata, ma non mi piaceva e disegnando invece riuscivo a provare piacere a stare in quel posto. Il disegno è un esigenza e al tempo stesso una salvezza per stare in un contesto, in un luogo, nel mondo, per starci”.
“Attraverso la mia arte porto avanti una ricerca stilistica, non importa cosa faccio ma come, siano i soggetti della mia attenzione paesaggi, persone, luoghi. Faccio quello che faccio perché voglio divertirmi e il mio divertimento sta nel reinterpretare quello che vedo. Accanto al divertissement, senza dubbio un elemento importante è l’insoddisfazione, necessaria affinché io continui a guardare, interpretare, divertirmi. Inoltre, una grande dose di purezza e immediatezza creativa la ricevo ogni settimana al centro diurno “Il Sentiero” di Ascoli Piceno, dove da qualche hanno svolgo laboratori di pittura: trovo in questi ragazzi una forte componente artistico-espressiva che va oltre la tecnica e mi arricchisce costantemente trasportandomi in una condizione di sorpresa continua”.
Da “cosa” a “come”. Qual è il processo creativo che dà vita alle tue opere? “Il processo creativo non è sempre lo stesso. Il denominatore comune che caratterizza il mio lavoro – almeno finora – è che procedo per sottrazione, tradotta tecnicamente in una serie di passaggi, stratificazioni, che sommate danno il risultato finale: prima la macchia, poi il soggetto, poi il segno a concludere la figura. Ultimamente però il sistema compositivo delle mie tele è in evoluzione. Adesso il processo di sottrazione è (diventato) mentale: arrivo al supporto con un’idea più avanzata, non definita, ma meno piena, più vicina a quello che sarà alla fine dell’elaborazione pittorica. Il nuovo sistema di lavorare: segno, macchia, stesure, vuoti, questi ultimi come elemento di sospensione, di niente”.
Qual è il tuo rapporto con il colore? “Sinceramente non ci ho mai riflettuto. Mi piace il contrasto e ritengo il colore un elemento piacevolmente spiazzante”.
Un pittore contemporaneo che ammiri? “Di getto direi Munch; in lui trovo soluzioni che riconosco come modo a me rispondente di interpretare la pittura. Ma nella vita di tutti i giorni colleziono opere di amici-artisti che mi piacciono come Alfonsi, Piergallini, Coccia, Tombini. Con loro abbiamo fatto eventi collettivi, creato sinergie, scambiato flussi creativi. A casa preferisco essere circondato dalle opere degli altri, trovo in esse più stimoli. L’auto elogio non mi appartiene, seppur avendo una casa studio non è semplice non vedere i miei lavori in giro per le stanze. Potrei fare come Beckmann che girava i suoi quadri per non esserne infastidito”.
Un pittore del passato che avresti voluto conoscere? “Nessuno, perché preferisco conservare e custodire l’idea del messaggio artistico, evitando la possibilità di restare delusi dall’essere umano che c’è dietro una produzione artistica o un movimento artistico”.
Progetti per il presente… “In questo momento sono immerso in nuovi lavori che mi stanno prendendo molto: lavori dove le figure sono molto distanti tra loro, un po’ come le costellazioni; ne viene fuori un’illusione di comunicabilità e di rapporti che in realtà non ci sono perché ognuno è perso nel suo microcosmo, proprio come i pianeti. Alle figure umane si aggiungono elementi spaziali volumetrici che fanno da ancora, da punto di riferimento, come proiezione o come supporto, per appoggiarsi. Centrali i temi della solitudine e della sospensione. Ho trovato il fissativo giusto: un materiale gelatinoso che forma una membrana che avvolge le figure, -proteggendole dal mondo esterno?- chiudendole nel proprio mondo. Non è istinto, ma attenta analisi della composizione, oltre la quale lascio comunque molto spazio all’imprevedibilità della macchia. Sto concentrando il mio studio anche e soprattutto sulla raffigurazione grafica della “non identità” dei volti, ossia cerco di trovare una soluzione per rappresentare i volti in generale, senza un’identità specifica, una sorta di cancellatura dei volti”.
Nel limbo tra la grafica e la pittura. Come convivono le due anime? “Da piccolo ero un bravo disegnatore, e alle elementari partecipai a un concorso di pittura, arrivando ultimo. Da lì curiosità e senso di sfida mi hanno avvicinato alla pittura, decisi di fare un corso e imparai a maneggiare un altro linguaggio, oggi imprescindibile. Solo qualche decennio dopo decisi di combinare le due possibilità ed dalla scelta di utilizzare entrambe le arti in una è un conflitto continuo, un equilibrio-squilibrio, che connota i miei lavori, frutto di una sorta di sovrapposizione di elementi e stili come fossero lastre serigrafie, che porta all’unicum dell’opera finita”.
Cos’è per te l’arte contemporanea? “E’ molto più semplice di quanto si creda. Dovrebbe essere una possibilità più immediata e facile per tutti. Non c’è niente da spiegare. Toglierei molti degli orpelli che oggi vanno a confonderne l’entità. Non è per pochi, o almeno non dovrebbe esserlo, è un’opportunità comune. Personalmente vorrei fosse più democratica e credo si un peccato che oggi sia vissuta solo in certi luoghi con certe modalità. Vorrei, inoltre, fosse attribuito un giusto valore culturale all’arte contemporanea, come canale d’espressione, darei più spazio ai giovani talenti, organizzerei più mostre, performance, eventi, la renderei più fruibile. E tra questi vorrei non escludo quello di una maggiore sensibilità territoriale nel dare voce, occasioni e luoghi alle nuove forme di arte. A mio avviso è più interessante trovarsi di fronte a stimoli non decodificati e farsi una propria idea, senza nulla levare ad opere e artisti in merito ai quali si è scritto e detto tutto”.
Essere artisti è un mestiere? “Si! Posso affermare questo ruolo che sento mio, impiego la maggior parte delle mie energie nell’alimentare la mia passione, ci sto dentro, sempre. È una posizione. So di avere questa ombra a colori, a volte più scuri, a volte che delinea il mio essere e il mio fare. Essere artisti è in tutto. Vivo al confine tra Marche e Abruzzo in un piccolo borgo ai piedi di una montagna che si erge davanti a me come una grande madre ed in questo momento mi sto divertendo a arredare la mia casa-studio-rifugio con tutti oggetti di riciclo e riuso realizzati da me”.
Come si diventa artisti? “Ma non credo ci siamo un modo condiviso o un segreto. Per me il passaggio necessario che ha segnato l’inizio della mia vita da artista è stato quando ho deciso di rinunciare al fare accademico, quando ho smesso di rappresentare quello che appare in maniera realistica, dando voce alla volontà di esprimere il mio sentire”.
Dove possiamo incontrarti? “In questo periodo le mie opere sono esposte da Lucidi arredamenti di Cupra Marittima e nelle spazio mOHOc di Luciani a Monteprandone. Durante la prima metà di aprile sarò al Palazzo dei Capitani, ospite di una collettiva, presto tutti i dettagli”.