È la solitudine che muove tutto, l’insoddisfazione dà il coraggio dell’agire. “Sulla corda” è la storia di Matteo e Margherita, scritta da Francesco Tranquilli per la Corbo Editore; due persone, due mondi e poi una rinuncia, un amore, un figlio. Un romanzo lungo e attento, delicato e puntuale che accoglie il passato e bastona il presente; cinquanta giorni sono cinquecento pagine di eventi imprevedibili e violenti che sconvolgono le esistenze dei protagonisti. Le pagine sembrano essere concrete confessioni di emozioni e stati d’animo; definito una commedia sentimentale, il romanzo incalza tra un padre perduto e uno scappato, mentre la vita crea nuovi legami violenti e massacranti, che l’amore alla fine sugella.
Il suo secondo libro si presenta con un violino in copertina che si riflette nel nulla che lo circonda, tanto che nel quarto di copertina viene definito anche “un romanzo sulla musica” che si scrive attorno a Matteo; seppur parli al presente, che passato ha Matteo? “Il passato di Matteo viene fuori dalle sue parole, dalle sue confidenze a Margherita e a Nadia. È fatto di solitudine e di sensi di coipa; include la ricerca ardua di un’anima affine, che forse non trova neanche in Margherita”.
Un mondo di rinunce e un motivo per andare avanti, come potremmo definire il passato di Margherita? “Una vita trascorsa nella diffidenza – giustificata – verso il sesso maschile, e quindi nella dedizione assoluta, quasi morbosa, verso il figlio. Senza l’appoggio di nessuno. Una persona che nasconde le sue fragilità dietro un muro di ghiaccio, per proteggersi”.
Dall’idea alla stesura, fino alla pubblicazione. Quali sono state le dinamiche del suo romanzo? “Un mese per pensare la trama, il mese di giugno. Una stesura ininterrotta dal primo luglio al quindici settembre. Se si può dire si è scritto da solo, lo direi. E pensare che, fino a fine maggio, era in programma il sequel di ‘Blackout’. Poi l’idea di ‘Sulla corda’ è spuntata un po’ dal nulla, e si è fatta spazio e tempo”.
Una scrittura puntuale che non tralascia nulla; leggendo si riesce a capire ogni cosa, comprendendo anche le righe del non detto. Incroci, sovrapposizioni e dialoghi. Quanta importanza assumono i sentimenti, le parole e i rapporti tra i personaggi? “L’impostazione a due voci del romanzo, a capitoli alterni, presente e passato che si intersecano, mi ha permesso di mettere in evidenza come le conversazioni che intraprendiamo, anche quelle in apparenza più schiette, anche (soprattutto) quelle fra persone che si amano, siano in realtà una serie quasi infinita di equivoci, di malintesi, di allusioni non raccolte, di illusioni proiettate sull’altro/a per credersi simili. Nessuno conosce mai davvero in profondità la persona che ha accanto: e gli occhi dell’amore sono i più miopi, quando non ciechi del tutto”.
Nel 2009 il suo primo libro, ‘Blackout’: un giallo. E nello stesso anno ha vinto i due concorsi nazionali per racconti thriller Giallocarta e Tiro Rapido. Come mai questo cambio di genere? “Il cambio non è stato intenzionale. Lo stesso ‘Sulla corda’ vuole inserirsi in un genere che, se non può essere chiamato giallo o noir, ne è però parente, ne condivide alcune atmosfere e soprattutto la riflessione etica: sto parlando di suspense, alla Ian Mc Ewan (si parva licet)”.
In ultimo, un consiglio per i giovani che vogliono intraprendere un percorso letterario. “Imbarazzante domanda, visto che io ho debuttato come romanziere ad età bella e avanzata. Però senz’altro non si può chiamarsi scrittori per un libro col proprio nome sopra (nemmeno due o tre, a mio parere), visto che oggigiorno le vie della pubblicazione sono ‘più infinite’ di quelle del Signore. Ci vuole moltissima umiltà e totale disponibilità al confronto. Il che significa leggere e farsi leggere, criticare e farsi criticare. A scrivere, come a vivere, non si impara mai del tutto”.