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Si è svolta al palasport Speca di San Benedetto del Tronto la seconda tappa di Coppa Italia di danze caraibiche riservata a tutte le classi e categorie, da otto anni a oltre i quarantasei anni. Milletrecento i ballerini provenienti da tutta Italia, tra cui atleti di livello internazionale, giunti in riviera per confrontarsi. La manifestazione ha confermato che la danza sportiva ha preso piede nel nostro territorio. Abbiamo intervistato Lorenzo Parrinello, classe 1990 per scoprire i retroscena della vita di un atleta di danze caraibiche.

Qual è stata la tua performance per la Coppa Italia? “Ho gareggiato nella categoria 19/27 B3 per le specialità salsa cubana e combinata dominicana, bachata e merengue. L’esibizione consisteva nel replicare la coreografia stabilita dalla federazione con movimenti non devono essere necessariamente identici, ma è sufficiente seguire l’ordine delle figure con la possibilità di inserire inserti di personalizzazione, in gergo tecnico gli sviluppi. A San Benedetto eravamo in tanti, quindi siamo stati divisi in batterie per poi comporre la batteria della finale”.

Quando hai iniziato a praticare danze caraibiche? “Ho iniziato a prendere lezioni nel 2006 per inserire una piccola coreografia di merengue in una recita scolastica. Ho iniziato a ballare in una scuola professionale solo nel 2010 e l’anno successivo ho fatto la mia prima gara. Quest’anno però sto intensificando gli allenamenti; possiamo dire che di fatto è questo l’anno in cui comincio a prendere sul serio le gare perché gli anni scorsi facevo solo la competizione nazionale che qualsiasi sia il risultato non è comunque sufficiente per farti scattare di livello”.

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Come mai hai scelto questo stile? “I balli caraibici mi hanno sempre affascinato, in particolare la salsa cubana. La salsa è una miscela di tanti balli, dalla rumba cubana all’afro cubano e tanto altro; ma per saper ballare bene questo stile bisogna conoscerne bene le radici. La cultura cubana è essa stessa un miscuglio di culture: quella spagnola, quella dei nativi americani e soprattutto africana. Conoscerla attraverso i racconti di vari maestri cubani è fantastico. Ci si immerge in un mondo totalmente diverso dal nostro dove la gente balla per le strade e dove il ballo non è un modo per passare il tempo ma un vero e proprio modo di vivere; addirittura la loro religione è legata strettamente al ballo, infatti la preghiera verso gli orishas, i santi cubani, è fatta attraverso dei riti costituiti principalmente da balli”.

Come concili la vita universitaria e gli allenamenti che ti hanno portato alla Coppa Italia di danze caraibiche della Fids? “Non è facile conciliare tutto; anche perché le gare di coppia non sono le uniche che faccio dal momento che ho un gruppo rueda nella mia scuola. Gli allenamenti si fanno principalmente di sera o di domenica e spesso si protraggono fino a notte fonda. Chiaramente è faticoso tornare a casa tardi e svegliarsi la mattina presto per andare all’università, ma fortunatamente non è un problema che qualche caffè non può rimediare. E, inoltre, la stanchezza fisica è controbilanciata da una grandissima rilassatezza emotiva“.

Cosa provi quando balli, che rapporto si crea con la tua compagna di ballo affinché la sintonia raggiunga i massimi livelli? “Ballare è qualcosa di assolutamente meraviglioso. Ogni problema scompare quando si balla e persino la tensione da gara sparisce quando la musica comincia. Quando si inizia a ballare per le prime volte è chiaro che c’è la sensazione di non essere capaci e di essere ridicoli, anche perché i movimenti sono spesso del tutto innaturali. Ma quando si comincia a non pensare più agli altri e pensare solo alla musica lì parte il vero divertimento. La musica ha la capacità di entrarti dentro e non sei più tu a decidere cosa fare ma è la musica stessa che ti suggerisce come muoverti. La sintonia con una ballerina è concepire la musica allo stesso modo; solo così si può arrivare ad alti livelli. Nella gara questo effetto è chiaramente più ridotto perché già sai, qualsiasi sarà la canzone, che ballerai quella coreografia provata mille volte fino allo sfinimento; ma anche in questo caso c’è un grado di personalizzazione, seppur minimo. È in questo caso che si vede il vero affiatamento di una coppia”.