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“Niente è sempre qualcosa” (Gianni Maroni editore) è l’esordio di Samuela Conti, un libro pensato a diciotto anni, scritto a venti ma pubblicato solo successivamente. I protagonisti del romanzo sono infatti due ragazzi che vivono nel recinto di una quotidianità fatta di certezze fasulle, irruenza, piccole prevaricazioni che solo a quell’età vengono sperimentate in una forma più pura. La Conti narra una storia vissuta al limine dell’età adulta, racconta di un viaggio che vuole essere una cerimonia di iniziazione alla vita.

Una scrittura fluida e rigorosa non ha bisogno di espedienti letterari nella descrizione di un giovanilismo che spesso si modula in foia sessuale tra Sol (protagonista maschile) e la protagonista (l’io narrante), la relazione a due si estrinseca in una iper-realtà fisica ed esclusiva, testimoniata dalla claustrofobica esistenza in un appartamento bolognese in cui si riduce la loro esperienza. Sarà la ragazza a voler rompere con questo stillicidio che la intrappola in un costante dialogo con se stessa; la necessaria educazione sentimentale inizierà da quel “non-luogo”, che è l’appartamento e il grande palazzo da cui vorrebbe emanciparsi, attraverso l’incontro casuale e fulmineo con una donna che sospenderà la vita della giovane e la introdurrà ad una nuova stagione.

Niente è sempre qualcosa è un libro sull’amore? “È un libro che ho scritto a venti anni e che ho deciso di pubblicare successivamente. Quando l’ho scritto ero un’inguaribile romantica ma ero convinta che era giusto ‘non amare’ per non soffrire, come la protagonista. Volevo raccontare la storia di qualcosa di diverso da me, qualcosa che non dovevo imitare, volevo esorcizzare le paure di una ragazza che stava diventando una donna”.

Infatti ho l’impressione che sia un libro che racconta la storia di un passaggio all’età adulta. È così? “Sì, la protagonista capisce che non potrà mai mantenere quella rigidità nei rapporti umani. Capirà attraverso diverse esperienze che non esiste la coppia perfetta o la scelta giusta. Insieme a lei anche Sol, il protagonista, cambierà atteggiamento nei confronti della vita e delle persone, ma lo farà a suo modo, attraverso una lettura degli eventi molto ‘maschile’, più schietta e senza filtri”.

La donna dell’ascensore è una figura misteriosa ma anche centrale nel processo di cambiamento in atto. Sarà lei a introdurre la protagonista ad una nuova stagione di vita. Come mai questa scelta? “All’epoca mi ispirai a una persona a me cara, che rappresentava un punto di riferimento. Forse per questo nel libro è l’unica che riesce a infondere una nuova luce sull’esistenza della protagonista”.

Il rapporto complesso tra Sol (nome fittizio che si ispira alla nota musicale) e la protagonista. Leggendo mi è venuto in mente il film “The dreamers” di Bertolucci. Cosa ne pensi e perché hai scelto il nome Sol? “In parte è vero, anche loro due sono chiusi in un appartamento e non si preoccupano del mondo esterno. Ma lei alla fine capirà che la vita è ben altro e lo farà cercando di specchiarsi nella quotidianità dei vicini, un modo utopistico per pensare ad un’esistenza diversa. Per quanto riguarda la scelta del nome Sol, ciò si spiega col fatto che a venti anni ero circondata da uomini che in qualche modo erano legati alla musica, mi sembrava che la musica fosse nel mio destino qualcosa di imprescindibile”.

Ho riscontrato un’attenzione quasi morbosa ai particolari delle persone, degli oggetti, Come mai? “Io sono così, do molta rilevanza ai gesti e ai dettagli. In questo modo mi pare di saper interpretare meglio il mondo che mi circonda”.