È Simone Luciani il secondo migliore inventore di giochi da tavolo a livello mondiale e assieme a Daniele Tascini conquista la classifica del settore. Nella vita è un educatore in un centro per l’infanzia, ma la sua passione è il mondo che ogni volta esce fuori dalla scatola. Una passione nata da bambino con i classici giochi, che cresce attraverso le più svariate forme ludiche, dagli scacchi ai giochi di carte collezionabili fino ai giochi di ruolo. A maggio la tre giorni tutta da giocare organizzata dall’associazione italiana Tana dei Goblin.
Dai giochi blasonati a un settore noto a pochissimi appassionati, quando hai conosciuto questo mondo? Una decina di anni fa ho conosciuto il mondo dei giochi da tavolo moderni, quelli che in gergo vengono definiti German Style dato che la Germania è oggi il mercato di riferimento e con loro è arrivata la voglia di inventare un gioco mio.
Quando hai iniziato a creare giochi da tavolo? I primi tentativi seri sono del 2004 con la prima partecipazione al premio Archimede, il concorso più importante in Italia per prototipi. Da lì sono iniziati gli apprezzamenti che mi hanno portato alla pubblicazione del primo gioco nel 2009. Da allora ho pubblicato “Frutti di Mare” nel 2009 per la Piatnik in Austria, “War of Wonders” nel 2011 per la Limanaumanita in Italia, “Columbin” sempre nel 2011 per la King International in Olanda, “Sheepland” nel 2012 per Cranio Creation in Italia, “Urbania” Mayfair Games negli Usa e “Tzolk’in” per la Cge, della Repubblica Ceca.
Ma come nasce un gioco da tavolo? Il gioco nasce sempre da un’idea che trova poi la sua traduzione grazie a carta, colla e forbici in un prototipo che verrà provato, cambiato, riprovato e modificato fino a che non sembra aver raggiunto una versione ottimale. A questo punto le strade sono due, o ci si rivolge ad un agente professionista cosa che ho fatto per i miei primi giochi, che a fronte di una consistente fetta delle royalties si occuperà di cercare un editore, oppure con la propria scatoletta sotto braccio si prendono appuntamenti con le case editrici, girando per fiere e convention, spiegando il gioco e cercando di interessarle.
Ma il gioco non è fatto, giusto? Esatto, quando la casa di produzione prende in valutazione il gioco, la strada è ancora lunga, spesso costellata di rifiuti, richieste di modifiche e ulteriori lavori sul prototipo. Solo una volta trovato un accordo si firma il contratto e, dopo i dovuti tempi di produzione, si potrà vedere la propria creatura sugli scaffali dei negozi.
Quanto appeal c’è dalle nostre parti? In Italia il gioco è decisamente poco diffuso anche se ci sono svariati club e associazioni sparse sul territorio. A Fermo non c’era un grosso movimento intorno al gioco e per questo ho scelto di fondare nel 2006, insieme ad altri amici, un’associazione che si chiama il Tempio di Kurna, e che in questi anni ha organizzato numerose iniziative per diffondere la cultura del gioco all’interno di svariati ambiti.
Giochi da tavolo e videogiochi, un confronto aperto ormai da qualche anno. Nel contesto contemporaneo, dove l’intrattenimento passa attraverso forme caratterizzate da una forte mediazione che guidano e canalizzano l’interazione e lo spazio creativo del fruitore, il gioco da tavola si caratterizza proprio per andare contro questa tendenza. L’intrattenimento videoludico, anche se ha raggiunto grandi livelli sotto molti aspetti, non permette mai un’interazione diretta con l’altro, quando l’altro è presente, e crea una sorta d’isolamento relazionale. I videogiochi hanno inoltre una struttura ben definita, automatizzata e che permette solo una comprensione istintiva e superficiale dei meccanismi che li regolano e questo rende limitata la capacità di analisi e di comprensione del sistema gioco nel suo complesso.
Un consiglio per riscoprire il gioco da tavolo. Il gioco da tavolo, pur essendo relegato a intrattenimento di nicchia, negli ultimi quindici anni ha resistito proprio perché permette di trovarsi attorno ad un tavolo a chiacchierare, ragionare, discutere, analizzare, ridere guardando il proprio avversario e compagno di giochi negli occhi. “Non credo neanche un po’ che i giochi da tavolo siano in pericolo, certamente non i migliori. Ma il mio atteggiamento ha poco a che fare con la qualità. – citando il maestro degli inventori Alex Randolph – Semplicemente credo che fino a quando ci saranno tavole e gente che si gode la convivialità di sedervisi attorno, ci saranno giochi da giocare su quelle tavole”.
Intervista realizzata grazie alla collaborazione di Marco Cecchini.