“Tutto scorre come un fiume” chiude la trilogia poetica di Carlos Sanchez dopo “La poesia, le nuvole e l’aglio” e Ricordati che non sai ricordare”. La prima impressione leggendo queste pagine è quella di aver ritrovato appieno Carlos Sanchez. Ritroviamo l’uomo, il gaucho de Folignano, il nomade, il visionario, il poeta a cui siamo abituati. Carlos prosegue il viaggio e assieme il racconto intrapresi tempo fa. Continua a sorprenderci con la sua capacità di tratteggiare il mondo, con la sua lucida fotografia di questo mondicino che esplode in tutte e quattro le direzioni, con la sua amara consapevolezza che la vita è un privilegio per pochi. È una scrittura matura, una poesia severa, tagliente, che poco lascia alla resurrezione e alla redenzione. Lo spiraglio d’amore, quello, c’è sempre.
Una resa dei conti con la vita e con la scrittura? Come ti senti di fronte a quest’ultima raccolta di poesie e cosa ha mosso, dentro di te, Tutto scorre come un fiume? “Io alla vita rendo conto ogni giorno. Questo libro è un passo in più di questo cammino. Una testimonianza di essere nel mondo. Mi continua a preoccupare questo meccanismo distruttore che si chiama civiltà, questo festeggiare un progresso, una modernità al servizio de pochi. Ma non per questo mi zittisco, continuo a cantare, in questa solitudine di poesie/che è il mio canto”.
Questo pare un commiato con una vita vissuta a pieno, ma che volge alla sua scadenza. Come mai questa visione e, soprattutto, ritieni valida questa mia impressione? “Credo che non posso negare che per me il cammino si è un tanto ridotto. Da tempo penso alla scadenza, senza allarmismi. Il miglior antidoto alla scandenza è continuare a vivere ogni istante, ogni momento, più intensamente possibile”.
In questo mondo, scrivi, nulla ci appartiene, tutto cambia, la sola realtà è l’hic et nunc. Addentriamoci in questa visione esistenziale, come dobbiamo considerarla? Un monito? Un invito a vivere pienamente la vita ogni momento? Questo continuo divenire è anche sinonimo di una precarietà esistenziale? “Credo che la nostra vita si svolge nell’inevitabile precarietà. Non siamo immortali. Vivere il presente, come ho accennato prima, è l’unica opportunità che abbiamo. Qui si progetta nel passato o nel futuro, perde il suo momento. Non credo che sia una visione fatalista della vita, è un elisir che ci aiuta a consumarla in tutta la sua completezza, in tutta la sua meraviglia.
Sei pienamente il gaucho di Folignano anche in Tutto scorre come un fiume. Ma, ad oggi, senti di appartenere a qualche posto? “Sì, sono il gaucho de Folignano City, sommerso con allegria in questa realtà. Ma la mia carne, le mie ossa, il mio cuore e la mia visione del mondo si sono forgiate in altre terre (sempre di questo mondo). Poi lo zio Eraclito e il Tao mi hanno insegnato che tutto scorre, che tutto si trasforma, che quando crediamo d’esseri fermi, la terra continua a girare e noi con lei. Sarebbe molto poetico dire che non appartengo a nessun posto, ma credo che uno appartiene al posto dove vive, con tutta la sua esperienza addosso e i suoi limiti. Non so se sia una scelta, come penso, ho un incidente familiare. Viviamo sempre nel mistero”.
Continui a essere poeta di questi tempi, tranquillizzami e dimmi che Tutto scorre come un fiume non è il tuo saluto ai lettori… “Credo di non tradisco la realtà che mi circonda. E’ vero che a volte il mio sguardo si appanna; in mezzo a tanto dolore, a tanta ingiustizia. Ma non ho dimenticato di sognare. Purtroppo, mi dovete scusare: sto lavorando in un nuovo libro di poesie. Continuo a salutare ogni giorno, con serenità, i miei pazienti lettori e la mia scelta di vita, la poesia”.