Sambenedettese di nascita e bolognese di adozione, Flavia Corradetti ha il dono di raccontare la precarietà dell’anima in punta di penna. “Mano sfondo blu” è una raccolta di racconti e poesie che viaggiano attraverso questa nostra generazione, parlano della fragilità e dell’incompiutezza di noi giovani umani. Lo fa docilmente, senza esprimere giudizi o condanne esistenziali. Qui si parla d’amore e di perdita, dell’incertezze e dell’inquietudine di chi è alla continua ricerca di quel qualcosa in più, di quel qualcosa di meglio. Poche pagine che bastano a dire quello che vogliono.
Il libro è una raccolta di racconti brevi e poesie, forse accomunati da un fil rouge che è quello delle emozioni sospese e della fragilità umana. Ti riconosci in questa interpretazione e vedi tu stessa, da autrice, un filo che leghi idealmente racconti e poesie forse scritti anche in momenti differenti della tua esistenza? “I racconti e le poesie sono una selezione che abbraccia un periodo di vita piuttosto lungo, direi dai miei venti anni ai trenta. Un periodo delicato che per me, come per tutti credo, è stato denso di cambiamenti così come di conferme. E’ stato solo rileggendo a distanza di tempo che mi sono resa conto di quanto i vari testi, pur scritti in momenti diversi e lontani, nascessero tutti da una stessa indagine, da certe insistenti domande fatte al complicato mondo delle emozioni e dei sentimenti. Spesso, come dici tu, si tratta di emozioni sospese, sentimenti irrisolti, gesti non arrivati a destinazione o forse arrivati solo troppo tardi”.
I racconti riflettono forse una solitudine esistenziale che riesce a trapelare dalle pagine. Da scrittrice come interpreti la tua (la nostra) generazione e quali sono le emozioni e i sentimenti che credi possano rappresentarla di più, soprattutto da un punto di vista letterario? “Una volta dei miei racconti hanno detto che ‘sono tristi ma non mettono tristezza’. Secondo me quello che resta al mutare di personaggi e situazioni è il senso di un continuo interrogarsi e riflettere sulla vita e i suoi aspetti più confusi o contraddittori. Per questo probabilmente finisco per raccontare cose dal sapore triste o per rendere protagonisti personaggi un po’ tormentati. Credo che la moltiplicazione e la frammentazione delle situazioni che viviamo, così come l’indeterminatezza e la complessità delle scelte di vita e delle emozioni ad esse collegate siano aspetti su cui la nostra generazione è chiamata a confrontarsi costantemente. Nel mio caso questo confronto si traduce nella volontà di raccontare storie che possano in qualche modo esprimere questi grovigli, senza la presunzione di confezionare soluzioni. In generale poi non credo che la letteratura in sé possa dare risposte certe, credo che possa tenerci allenati a fare domande. Questo rende la nostra vita forse più complessa ma senz’altro più profonda.
Sambenedettese che vive a bologna, parlaci del tuo sogno di fare la scrittrice, se continui a inseguirlo e come nasce? “Come molti marchigiani mi sono trasferita a Bologna per frequentare l’università e poi sono rimasta anche per lavoro. I primi scritti, brevi poesie o pensieri annotati come capitava, risalgono più o meno all’adolescenza ma per tanti anni sono rimasti timide riflessioni su taccuini nel cassetto. Non pensavo seriamente che potessero avere una qualche qualità letteraria. Poi, sul finire dell’università, grazie ad alcune amicizie che condividevano con me l’interesse per la scrittura, ho cominciato a tirare fuori dal cassetto la mia produzione, che nel frattempo si era arricchita dei primi racconti, e a far leggere ad altri ciò che per lungo tempo era stato qualcosa di molto intimo. E’ un momento critico quello in cui ti decidi ad avere ‘un pubblico’. Insomma, gli scritti piacquero, ne pubblicai alcuni sul blog di un amico, cominciai a partecipare a qualche concorso. Per la cooperativa in cui lavoravo allora mi capitò anche di scrivere un libro didattico a quattro mani. Mano sfondo blu nasce tre anni fa come regalo, ne autoprodussi alcune copie da donare agli amici più stretti. Da allora, continuo a scrivere per lo più racconti. Ho cominciato anche un romanzo, che è circa a metà. Con uno degli ultimi racconti ho partecipato nel 2012 al concorso Coop For Words e sono arrivata tra i finalisti. La scrittura è un’attività che richiede molte energie e concentrazione per cui, avendo un lavoro principale da impiegata a tempo pieno, non riesco a dedicarci tutto il tempo che vorrei. Diciamo che scrivo quando ho una bella idea che mi stimola e nel tempo che ho a disposizione. Il risultato può essere una gradevole (si spera!) lettura per gli amici o materiale da proporre a un concorso o in occasione di qualche iniziativa editoriale, sognando prima o poi un passo in più nel cammino da scrittore: però il fulcro importante dello scrivere per me resta avere piacere di farlo e possibilmente dare un piacere a chi legge. Finché c’è questo, un bel traguardo è già raggiunto.
La dimensione generazionale e quella di provincia: due temi che forse ti toccano da vicino. Quanto influiscono sulla tua scrittura e in che modo? “Quello che scrivo ha una natura sempre molto intimistica per cui i luoghi hanno un valore per l’anima più che un senso geografico. E’ vero che spesso vengono citati o descritti posti ben precisi (Bologna, Dublino…) ma sono quasi sempre funzionali a raccontare qualcosa che risiede nella sfera dell’interiorità o delle relazioni interpersonali. In questo senso non credo che la provincia in sé come categoria geografica o tema da analizzare o stile abbia avuto un’influenza particolare su quello che scrivo. Anche la dimensione generazionale può essere presente non tanto come insieme di fatti e questioni sociali contemporanee ma come indole o sentire che può essere condiviso da chi ha vissuto e vive i miei stessi anni”.