Dall’esistenza della DOP “Oliva Ascolana del Piceno”, registrata presso l’UE il 15 novembre 2005, ad oggi tutti gli accordi costitutivi sono stati disattesi. Questo, in estrema sintesi, il pensiero del presidente di Confindustria Ascoli Piceno Simone Ferraioli.
Ferraioli sul Consorzio di tutela oliva all’ascolana del Piceno DOP
“Da un lato – scrive il presidente Ferraioli in una nota – nel quadro del diritto comunitario, la DOP protegge solo il prodotto (la c.d. oliva tenera Ascolana del Piceno, coltivata nelle province di Ascoli Piceno, Fermo e Teramo) e non certo la tradizionale ricetta marchigiana (l’oliva ‘all’ascolana’), che in quanto tale è e resta patrimonio di tutti, consumatori ed imprese. Ogni pretesa di monopolio del Consorzio, tesa a vietare l’utilizzo anche di altre varietà di olive (siano esse italiane e comunitarie) per la preparazione di questa nostra storica ricetta, si pone in palese violazione della normativa UE. Oltre che delle sentenze della Corte di Giustizia UE.
Dall’altro lato, se guardiamo al prodotto in sé, lo sviluppo della coltura dell’oliva ascolana nella nostra Regione è stata fino ad oggi solo penalizzata da quella scelta che al tempo, come industriali, tentammo di far comprendere non fosse la strada giusta per il nostro territorio. Considerato che già allora come oggi, quella dell’Oliva Ascolana del Piceno DOP è purtroppo una varietà priva di reale diffusione. Tanto che il 99,9% della produzione di olive all’ascolana, sia a livello artigianale che industriale, deve per forza avvenire senza l’utilizzo dell’oliva tenera ascolana. Il Consorzio avrebbe dovuto negli anni incrementare la produzione della tenera ascolana per permettere a tutti gli operatori dei quantitativi sufficienti per la trasformazione.
Ferraioli: “in venti anni il Consorzio è riuscito ad incentivare la piantumazione di solo il 2% del reale fabbisogno di oliva tenera ascolana per garantire l’attuale produzione del settore”
La storia racconta una realtà completamente diversa.
In venti anni il Consorzio è riuscito ad incentivare la piantumazione di solo il 2% del reale fabbisogno di oliva tenera ascolana per garantire l’attuale produzione del settore.
C’è di più. Anni di malagestione, certificati da uno scioglimento giudiziale del consorzio stesso, per poi ripartire con identica compagine sociale e relativa presidenza in capo al titolare di una attività commerciale di ristorazione. Un operatore pertanto di cui ci chiediamo la reale capacità produttiva tale da giustificare quel ruolo.
Un consorzio che oggi, privo di strumenti e risorse, senza nemmeno un sito web, pretende di muovere i primi passi, a distanza di vent’anni, non nella direzione di quanto promesso al tempo ma al contrario di una tutela che si fonderebbe su denunce alle autorità competenti contro gli operatori del territorio, gli stessi che fornirono quelle basi per la costituzione del Consorzio e che ogni giorno portano avanti e in alto il nome del Piceno.
Denunce che, come detto, sono prive di fondamento perché si scontrano con il diritto UE.
Tra l’altro a proposito di ciò ci si meraviglia del fatto che dette denunce non avrebbero avuto seguito quando lo stesso presidente del consorzio dovrebbe essere bene a conoscenza del fatto che sin dal 2007 il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ha riconosciuto legittimo l’utilizzo della denominazione “olive all’ascolana” per tutti quegli operatori oggi oggetto di denuncia e non. Ovvero, solo nella nostra provincia una decina di industrie e qualche centinaio di produttori artigianali che secondo i vertici del consorzio dovrebbero etichettare il loro prodotto come oliva ripiena.
Ferraioli: “il 99,9% della produzione di olive all’ascolana, sia a livello artigianale che industriale, deve per forza avvenire senza l’utilizzo dell’oliva tenera ascolana”
Quello che il consorzio omette di dire è che il mondo dell’oliva all’ascolana prodotta con olive diverse da quelle oggetto della DOP crea una produzione che stimiamo prudenzialmente intorno ai 50 milioni di euro di fatturato. E che garantisce occupazione ad almeno 400 persone di cui circa la metà del settore industriale. Questo a fronte di una produzione complessiva di tutti gli operatori aderenti al consorzio di circa 60 quintali l’anno, ovvero l’equivalente della produzione di qualche ora di una nostra azienda associata.
A tal proposito abbiamo apprezzato l’intervento dell’onorevole Carloni sulla necessità di tutelare tutti quei produttori che fra l’altro hanno iniziato dette attività in epoca anteriore alla costituzione del consorzio. Un intervento che in estrema sintesi si riallaccia a quanto già acclarato dal Ministero nel 2007 come sopra riferito.
Spiace ancora una volta rilevare come nel nostro territorio si privilegino sempre e solamente le guerre fratricide che mettono a repentaglio ricchezza e posti di lavoro quando in realtà bisognerebbe concentrarsi solo sullo sviluppo.
Lotte e denunce in nome di cosa? Promosse da chi e con quale fine ultimo poi?
Da un Consorzio che negli anni ha perso aderenti e anche soci fondatori, che oggi è composto da una decina di associati, un club di amici che consapevole del fatto che gli altri produttori piceni operano nella legittimità, cerca comunque di creare difficoltà ad un sistema e ad un territorio senza trarne nessun reale beneficio.
Nonostante ciò, Confindustria è sempre a disposizione per un confronto sul tema della tutela con i referenti delle altre associazioni di categoria del mondo agricolo e artigianale.”
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