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Primo maggio: vorrei dedicare questa Festa dei Lavoratori ai Fannulloni. Non i fannulloni normali ma quelli analitici, filosofanti e consapevoli. Perché, diciamolo, è ora che a questa disonorata categoria vada riconosciuto il merito storico di aver creato la civiltà.

Primo maggio: lavoro e luoghi comuni

E qui il libero pensiero deve farsi strada, nella selva dei luoghi comuni, con il machete dei fatti come sono.
Il primo luogo comune è una sequoia dura da scortecciare: ‘L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro’. Qui il fattologo pone, con la sua consueta crudezza, alcune domande: quale ‘lavoro’? E di ‘chi’? In genere, la fatica degli altri.
A seguire, il baobab del ‘Ti guadagnerai il pane col sudore della fronte’. Magari solo la fronte. E le ascelle? E i piedi? Potrei fare una doccia?
Ancora, la quercia de ‘I giovani non vogliono lavorare’. Già, nessuno che abbia voglia di fare il saldatore o il raccoglitore di pomodori.

Una chiara condanna dei pensatori, che non lavorano, non sudano e non producono.

Senza pretesa di essere originale, cito due letture classiche: l’Elogio dell’Ozio (Bertand Russel) e Il Diritto alla Pigrizia (Paul Lafargue, genero di Marx, quest’ultimo stimato Fannullone con la ‘F’ maiuscola). Datate ma sempreverdi.
Ora, i fatti.
Quando ero consulente del patronato, curavo le domande di invalidità ai lavoratori comunemente intesi: manovali e braccianti i quali, a cinquant’anni, presentavano già ben documentate schiene ridotte a rosari artrosici, che rendevano quasi impossibile l’allacciarsi le scarpe.
Già: ma come fare senza? E, oggi, come si fa senza saldatori?
Torniamo alla definizione, da reinventarsi, del ‘lavoro’.

primo maggio

Luogo comune: ‘I giovani non vogliono lavorare’. Già, nessuno che abbia voglia di fare il saldatore o il raccoglitore di pomodori…

Nei miei giri per il mondo ho constatato che i poveri stanno un po’ dappertutto ma i miserabili esistono solo nei Paesi ricchi. Un paradosso solo apparente, che rivela la tendenza generale dell’umano e diventare ricco con il sudore degli altri. Da quando quell’umanissima tendenza a usare gli schiavi ha dovuto darsi una calmata, sono cambiate le strategie: in primis, garantire il diritto a farsi una doccia.
Ai lavoratori non è parsa vera questa conquista né le tante altre, compreso la facoltà di potersi appropriare di una parte, minore, dei beni da loro prodotti.

Questa festa collettiva chiamasi ‘consumismo’.

Ma c’è un fatto nuovo. I lavoratori vanno riscoprendo il tempo libero, banalmente, l’Ozio. Che è notoriamente ‘padre dei vizi’ (me ne stavo quasi dimenticando); primo fra tutti, riflettere sul senso della propria esistenza, fino a chiedersi: ma ne vale la pena?
Forse no.

Va bene, sono cambiate le condizioni dello sfruttamento. Oggi i lavoratori vanno in auto e hanno malattia e ferie pagate. Certo, fanno uso di pillole per dormire e sperimentano le nuove patologie del benessere, tipo il mobbing, lo stress e il demansionamento. Però, diciamolo, non sudano. Cionondimeno, qualcuno sostiene che no, non ne valga la pena.

E torno a rubare dai miei Autori.

Non è vero che questo mondo non può dar da mangiare a tutti. Non era vero nemmeno ai tempi dei classici, ma a qualcuno piace pensare così. Il problema è che nessuno lo dice.
In un mondo di soluzioni e automazione sarà il caso di (ri)proporre le quattro ore lavorative.
Per cui, sinistre in crisi di ispirazione e progressisti di tutto il mondo: liberate i lavoratori dal lavoro.
Ve lo suggeriscono i classici.
Da più di cento anni.

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