Lo spettacolo è questo.
Il tizio aspira, con evidente piacere, l’ultima boccata dalla sigaretta. Poi, guarda la cicca che ha in mano, passa appena lo sguardo sul posacenere che ha davanti, e scruta intorno la presenza di un vaso di fiori. Che stavolta, purtroppo, non c’è.
Allora, con gesto ottimizzato dalla lunga pratica, pizzica il filtro-proiettile tra il polpastrello del pollice e l’unghia del medio, carica il muscolo estensore e, subito dopo, lascia schizzare il mozzicone nel vuoto. Seguendolo fino all’atterraggio oppure, se si trova in alto, assistendo per un po’ all’estinguersi del tenue rossore della brace, intanto che questa viene ingoiata dal baratro.
Da molto tempo mi incuriosisce il fenomeno. Mi sono andato chiedendo cosa abbia di repulsivo o sgradevole o sconveniente o che so io, l’adoperare il posacenere.
Mi incuriosisce almeno da quando, nel deserto libico, un mio amico non fece una cosa del genere or ora descritto.
Avevo un orticello, intorno alla clinica, che, al fine di moderare la rude essenzialità maschile che abbrutiva la vita del campo, m’ero dato ad ornare con qualche piantina. Lo avevo ripulito dalle cicche e fornito di un posacenere monumentale. Sempre vuoto.
“Ma perché lo fai?” chiesi di fronte all’ennesimo lancio nel vuoto.
“Perché mi piace”. Fine della discussione e inizio dell’analisi.
Il posacenere è deprimente
Che mi ha portato ad una conclusione: il posacenere è deprimente. Cioè, non è deprimente esso medesimo ma il senso di limite e finitezza che implica. Mi spiego.
Gettare i propri rifiuti in giro è come poter contare su un mondo infinito e autopulente. Una specie di gigantesca mamma con le puppe inesauribili e dall’infinita pazienza che ci viene dietro a mettere in ordine la stanza. È una cosa irrazionale, ma forte.
Per dire: si fa un raduno in montagna, frequentato da poetici ambientalisti. Beh, c’è quello che si porta a tremila metri la bottiglietta di analcolico e la lascia tra le stelle alpine.
“Scusa, Tizio, ma secondo te, domani all’alba passa il camion della nettezza urbana? Oppure questo vetro evapora? Oppure viene succhiato dalle api per farne lampadari? Non è che magari ti aspetterà qui fino al prossimo raduno?”.
Tizio scende in silenzio, internamente commosso dalla grandiosità del panorama e dal profumo di pino mugo nell’aria tersa. Alla bottiglietta penserà la Grande Madre.
Spargere monnezza è un lusso?
La gioia dello spazio infinito da usare come ci pare, contro il grigiore della misura, della regola, del controllo. È una caratteristica etnica dei popoli fortunati, che vivono nel sole e nella prosperità del suolo, quella di rigettare la micragnosa realtà della raccolta dei rifiuti, preferendo eliminarli piuttosto nella palingenetica fiamma purificatrice del rogo di strada.
Spargere monnezza in giro è uno dei pochi lussi che può permettersi il povero. Nulla impedisce ai nomadi di fare la differenziata intorno agli accampamenti e nulla impediva ai pellerossa di scavare latrine (tecnologia già alla loro portata), invece di essere costretti a spostarsi dopo che non riuscivano più a trovare dieci centimetri quadrati privi di deiezioni dove poggiare i piedi. La Grande Madre dalle puppe inesauribili, ogni tanto, si stufa.
Spargere monnezza è un privilegio
Spargere monnezza in giro è anche uno dei tanti privilegi dei ricchi. I quali si godono i loro yacht e le loro rubinetterie in un olimpo invisibile ed inaccessibile, tranne che, quando se ne sono stancati, scaricarli nel mondo in basso, quello di tutti, insieme con le centinaia di bottiglie vuote dei loro noiosissimi party.
Eco-pezzenti, gli uni e gli altri.
Ora, questo è un fatto serio, sul quale i filosofi s’indugiano meno del dovuto: quanto incide l’illusione dello spazio autopulente sul nostro ottimismo? Se non si fanno figli, può essere per la triste severità dei cassonetti? Il sacchetto gettato nell’aiuola può aiutare a smettere l’antidepressivo?
Occorre dare un’alternativa e dimostrare che la Grande Madre può saziare anche se ha le poppe piccole. Basta darle il tempo di ricaricarsi.
Perciò, Tizio, non ti biasimo. Capisco il tuo piacere e anche la mesta necessità che sta dietro il tuo lancio del mozzicone e vorrei fare qualcosa per te; magari regalarti un posacenere con la paperetta, come si fa con i bambini per iniziarli a fare la popò nel vasetto.
Tu però non ti offendere: non è per disistima… è che il problema è veramente grosso.
Questa è materia esistenziale, ragazzi… mica no.
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