A suo tempo mi sono praticamente fumato tutte le puntate della serie ‘Gomorra’. Non riuscivo a staccarmene. E mi sono chiesto: ma perché mi piacciono tanto le storie di mafia?
Perchè mi piaceva Gomorra
Prima risposta: mi piace perché sono un violento. Ma no, l’unica volta che ho fatto a botte fu quando un compagno di liceo non metabolizzò col dovuto stile una sconfitta a biliardino. Mi saltò addosso e finimmo appiccicati contro un flipper. Ad un tratto incrociai il suo ghigno stravolto dalla battaglia ed ebbi un attacco di risa che smontò ogni fierezza guerriera. Mia e sua.
Seconda risposta: mi piace perché mi piacciono le scene cruente. Ovvio. Per quale altro motivo pensate che abbia frequentato per otto anni un reparto di chirurgia? Però questa è roba vecchia. Col tempo ho scoperto che c’è molto più sangue in una storia autentica che in un torace aperto. Ad ogni modo, esco di giorno e mangio tranquillamente aglio.
Terza risposta: mi piace perché sono attirato dal Male. Assolutamente vero, e chi non lo è? Comprereste un giornale che pubblica solo buone notizie? Di Male si occupano forze dell’ordine, magistrati, sociologi, psicologi, filosofi, teologi, giornalisti e medici. C’è un sacco di brava gente che col Male tira su uno stipendio.
Ma il Male di Gomorra vuole una spiegazione
Migliaia di anni fa la dea Abbondanza si fermò a riposare al Sud e, inavvertitamente, lasciò a terra metà del suo carico. Sole, mare, bellezze naturali. E poi arte, cultura, ospitalità e ottimo cibo. Gli ingredienti di un vivere felice. Che ci azzeccava il Male? Come c’è entrato? Gli è che il Male ha una specie di obbligo contrattuale di presenza. Ci dev’essere. Ma in quel contesto non ha trovato materia per un ordito letterario e ha dovuto buttarsi sul filone semplice e banale della Ricchezza e del Potere. Magari del Rispetto, che poi ti danno “a gratis”, nei posti dove usa Cortesia. Però, se questo Male non è interessante, è invece interessante la sua gestione.
Stiamo parlando del boss. Che meraviglioso management, il suo. Capitato lì per intelligenza e coraggio, lo vedi gestire i peggio appetiti ed istinti con la determinazione di un Alessandro il Macedone e l’astuzia di un Talleyrand, prendendo le sue decisioni in assoluta solitudine. È questo che mi intriga veramente. Tuttavia, a pensarci, è solo un dipendente di livello, perché il vero capo sceglie il proprio destino, mentre lui non può.
La Teoria del Bene
E allora, per pensare ad una sceneggiatura diversa e non stare lì a ripetersi, occorre un’idea nuova: tipo una Teoria del Bene. Pensiamo al Bene come fosse lo sport dei buoni oppure l’algoritmo dei bigotti. Ma chi lo ha mai indagato a fondo, questo Bene? Abbiamo mai fatto studi di fattibilità per futuri progetti di felicità collettiva? Una Teoria del Bene considera i peggio appetiti ed istinti, ma non li gestisce: li fa scegliere.
Scegliere, per esempio, di testimoniare ad un processo, di uscire dal branco per non consumare uno stupro, di prendere per le orecchie un baby delinquente anche se non è tuo figlio. Di rinunciare ad un abuso edilizio (qui viaggiamo sull’eroico). Ingenuo che sono. E chi glielo fa fare?
Niente e nessuno, questo è il bello, se non l’orgoglio di confrontarsi col Male, alla pari. Per sfida, per vedere l’effetto che fa, per originalità, per far tacere il tarlo insonne alimentato a duracell della coscienza. Per dimostrare che si può fare il Bene senza essere buoni. Chissà quanti orditi letterari ne uscirebbero. Storie uniche di uomini e di decisioni improbabili, di dubbi, di ripensamenti, di vittorie, di incredibili percorsi. Di scelte.
Aspetto la serie che mi parli di questi diversamente boss. Capi per davvero. Perché se il Male ha bisogno di grandiosi servitori, il Bene incorona piccoli Re.
Leggi anche Vedere, guardare, osservare: il senso delle nostre azioni