La Settimana Enigmistica. Adoro questa rivista.
Credo di aver conosciuto e risolto la Pista Cifrata prima ancora di andare a scuola. Anzi, credo di aver imparato proprio lì a riconoscere i numeri. Ma anche Cosa Apparirà. E, quasi dimenticavo, Aguzzate-la-Vista, dove si faceva una finta gara con i grandi a trovare le differenze tra due disegni quasi uguali. Grande esercizio di attenzione.
Andavo a cercare a casa degli adulti i numeri de La Settimana Enigmistica lasciati incustoditi e quei giochi li facevo io.
Poi, il salto alle parole crociate; avviato, con amorevole tutoraggio, alla scoperta della definizione.
Pare facile, ma la definizione è come una rima; ce ne sono tante, ma solo una è quella giusta. Infine, via da solo, a cercarmi gli altri enigmi.
Compagna di innumerevoli trasferimenti in treno, durante i quali potevi leggere le Spigolature o Strano-ma-vero o Non-tutti-sanno-che, se l’ossuto sedile di terza classe, promosso, per anzianità, di seconda, non ti consentiva di scrivere. Oppure potevi cercare di risolvere il caso poliziesco, con l’errore fatale del colpevole nascosto in una parola o in un particolare del disegno. Oppure riflettevi sul Quesito-con-la-Susi, che ci potevi anche vincere qualcosa, se indovinavi. Io ci vinsi una penna e un libro sugli Ittiti (urca, che fortuna), che perfino lessi.
Nella Pagina-della-Sfinge c’era un bazar di rompicapi dal nome bizzarro che mai avrei sentito altrove: palindromo, zeppa, monoverbo sinonimico, sciarada, bifronte, falso iterativo, scarto. Ma chedè? Vabbè, tentiamo.
Col tempo, diventavo bravo; arricchivo il vocabolario; cercavo il difficile: Cornici Concentriche, Incroci Sillabici, Senza Schema, Ricerca-di-Parole-Crociate, Incroci Obbligati.
Tutto senza rete… volevo dire senza matita: direttamente a penna, da spericolati. Finché non arrivava l’intoppo, dove non andavi avanti.
Sì, c’è la soluzione nel prossimo numero, ma chi aspetta?
La Settimana Enigmistica per vendere cara la pelle
Ecco, se c’è una cosa che ho imparato da questa rivista è il vendere cara la pelle. Lasciamo lì e pensiamoci su: dove ho sbagliato? Ricontrollo; ma no, è tutto giusto; sì, però non può essere.
Il giorno dopo riprendevo: oramai era questione di autostima. Alla fine, dopo che tutti i miei neuroni si erano messi a servizio della causa, completavo. Ah, che soddisfazione…
Però il re restava lui: il Bartezzaghi. Un normale schema libero, si direbbe. Macché: inimitabile la precisione delle definizioni, l’eleganza. Se non facevi quello, non avevi fatto niente.
No, l’auto riconoscimento che si dà la rivista, “il passatempo più sano ed economico”, è modesto. Per me non è stata un passatempo, ma un istitutore esperto in logica e linguistica che, con estrema discrezione, mi ha pungolato le meningi, per anni. Ora che ci penso, mi rendo conto di quanto le debbo.
Nata nel 1932, vissuta quasi senza pubblicità, è per me un esempio di compostezza, ironia delicata (le vignette, mai volgari o cattive), stile, affidabilità. E vorrei farne qualcosa d’importante.
Tipo farla conoscere ai bambini, inserendo un’ora di cruciverba nelle elementari. Oppure farne un’occasione di ritrovo e svago per le persone anziane, con un maxischermo in ex sale Bingo bonificate. Oppure un percorso di preparazione per i test universitari.
Sì, li vedo i ragazzi a sudare su un Bersaglio, o su un problema di scacchi, o su un Calcolo Enigmatico (oh, se ti faceva sudare).
Però, no. Pare che il posto della SE sia lì nell’edicola, con le sue venticinque copie, impilate accanto alle cinque degli “innumerevoli tentativi d’imitazione”.
Con la sua frugale intelligenza e le sue giostre di bella lingua italiana.
Il miglior modo che io conosca di perdere tempo.
Scusate, prima di andare… siete sicuri che nella vostra borsa da mare non manchi qualcosa?
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