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Leonardo da Vinci: la Gioconda non era per niente gioconda

Dire semplicemente che suscitò scalpore, non rende giustizia al vero e proprio terremoto che l’articolo “La Gioconda non era per niente gioconda” scatenò negli ambienti. Scritto dal critico d’arte dilettante Epifanio Bonacci e pubblicato sulla rivista di settore ‘La Bellezza Ieri e Oggi (Domani si Vede)’, detto articolo avanzava l’ipotesi, riscontri alla mano, che quello della Monnalisa di Leonardo non fosse un sorriso soave, bensì un ghigno scontroso.

A sostegno dell’ardita tesi, una lettera autografa proprio di Leonardo, ritrovata fortunosamente dal Bonacci presso un rigattiere, tra una raccolta di Nembo Kid e vecchi (e ancora olezzanti) calendari erotici da barberia. In essa il geniale pittore confessava come, incaricato (dietro ottimo compenso) di fare il ritratto a certa dama nota per la sua bruttezza e antipatia, fosse bensì riuscito ad abbellirne i tratti ma, impossibilitato a inventarne il sorriso, ne avesse disegnato la vera espressione dopo aver capovolto la tela. Insomma, il famoso sorriso era inesistente ed appariva tale solo per artificio di posizione.

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La Gioconda – Leonardo da Vinci

Le reazioni all’articolo non si fecero attendere.

Il professor Falsoni, decano degli autenticatori nonché accademico stimatissimo dai colleghi per essere stato capace di avviare alla carriera universitaria, con robuste raccomandazioni, oltre al figlio e alla nipote, anche un paio di amanti e il dirimpettaio, guidò la contestazione.
La tesi del Bonacci, dichiarò in pubblico convegno, oltre a essere bizzarra, è assurda. Una teoria affermata, contraddetta da una lettera autografa. Ma figuriamoci: se bastasse una prova inoppugnabile a smontare secoli di sapere ufficiale, dove andremmo a finire? No: non cederemo mai all’odioso ricatto dell’evidenza.

Seguì la presa di posizione delle forze politiche, per una volta concordi, circa la non opportunità, in un momento di grave crisi economica e morale del Paese, di aprire altri fronti di polemica. Responsabilmente, esse si rifiutarono di offrire il destro a certe derive populiste, sicché una patriottica votazione del Parlamento riunito, censurò la tesi avventurista del Bonacci, magari anche vera, ma certamente non utile alla coesione nazionale.

A breve distanza si registrò la nota della potente lobby dei venditori di souvenirs.

Insomma, dove si voleva arrivare? Il settore era già da tempo in crisi e il cliente era diventato esigente: le miniature di wc con dedica riempivano, invendute, i magazzini; lo stesso le gondole con carillon al Bianco Natal; addirittura, molti indugiavano nell’acquisto dei modellini della torre di Pisa sospettando che questa, in realtà drittissima, apparisse pendente semplicemente perché il modellino era Made in China. Come si poteva pensare di smerciare magliette con la Gioconda grifagna?

E per far capire meglio il proprio disagio, migliaia di attivisti si recarono nella capitale a coprire le auto blù con calamitine da frigo di pizza margherita.
Tuttavia, la cosa rimase confinata ai circoli interessati dato che i media non ne fecero cenno, per il motivo che nelle varie redazioni, abituate a pubblicare pettegolezzi e dichiarazioni di politici, nessuno ricordava più cosa bisognasse fare allorché fosse capitata una notizia vera.

Per cui, passato un certo tempo, il Bonacci decise di indire una conferenza, al fine di rivelare direttamente al pubblico la sua scoperta. Una locandina di grande richiamo, “Il segreto del sorriso della Gioconda”, assicurò l’occupazione di tutti i posti, sia a sedere che in piedi.
Ma quando il nostro, che si era preparato con cura l’intervento, si trovò davanti tutti quegli occhi sgranati e quei silenzi in attesa, non se la sentì ed improvvisò: Amici, la verità è che a Monnalisa mancavano due denti davanti. E ora scusate, vado perché mi sta venendo da vomitare.
Il brusìo di delusione dell’uditorio non turbò più di tanto l’oratore, il quale si dileguò da un’uscita secondaria in preda ad un indicibile sollievo.

 leonardo

Leonardo da Vinci

Cos’era successo?

Niente. Egli aveva realizzato in un attimo che la Verità non valeva il prezzo di carriere rovinate, crisi economiche e destabilizzazione di metafore e luoghi comuni cui una intera comunità aveva assicurato la propria visione del mondo.
Certo, la Verità era la Verità, e forse non era stato etico tacerla. Ma chi poteva dire? Senza contare che magari, vai a sapere, Leonardo quella sera era ubriaco o si era inventato tutto per fare uno scherzo ai posteri.

E poi: è proprio così sicuro che la Verità avesse la precedenza su tutto?

No, egli cercò di auto convincersi: la Verità non ha dignità né diritti se non quelli che le riconoscono gli umani. I quali, non sempre ne hanno voglia. Di conoscerla o riconoscerla.
Epifanio Bonacci protesse i suoi dubbi con ragionamenti di questo tipo, fino a tarda sera e, per cautelarsi verso future tentazioni, bruciò la lettera autografa di Leonardo, mentre si preparava una tazzona di camomilla.
Aveva fatto bene, però la Verità è la Verità.
Bevve la camomilla, preparandosi a una notte insonne e tormentata.
Invece, con sua grande sorpresa, dormì il sonno del giusto fino alla mattina dopo e non si svegliò neppure per fare pipì.

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