“L’incremento dell’aliquota della cedolare secca sugli affitti, che potrebbe lievitare dal 21% al 26% per i contratti a canone libero, costituisce l’ennesima discutibile e insensibile stangata. Non per congiuntura internazionale ma per mano governativa, che accentuerebbe lo scivolamento del ceto medio verso condizioni di effettiva criticità. Compreso chi fa impresa e commercio”.
A denunciare il possibile inasprimento del prelievo, che avrebbe ricadute anche sugli affitti e sui piccoli borghi, è il sindacato Unsic. Organizzazione che ha oltre tremila uffici in tutta Italia. L’Unsic lancia un accorato appello al Governo Draghi affinché non inserisca la revisione della cedolare nella delega fiscale in discussione in Parlamento.
“In una fase di crescente difficoltà per la maggior parte degli italiani – scrive l’Unsic – stretti tra una pandemia che non accenna a mollare la presa e le conseguenze del conflitto in Ucraina, l’aumento dell’imposizione fiscale è una misura non solo insensata, ma dannosa. Tra l’altro continuare ad utilizzare gli immobili degli italiani come bancomat di Stato rischia di minare ulteriormente il rapporto di fiducia tra elettori ed eletti. La tassazione sugli immobili in Italia è al 6.1% contro il 5,5 della media Ocse, il 2,7 della Germania e il 2,2 della Svezia. Aumentare le tasse sugli immobili rischia di accrescere l’evasione. E di far lievitare il numero di case non affittate. Perché tra aumento dei costi condominiali e della morosità, nonché con il blocco degli sfratti, conviene non immetterle più nel mercato”.
Infine l’Unsic ricorda, citando dati di Lettera 150, l’associazione presieduta dal giurista Giuseppe Valditara, che la stragrande maggioranza dei proprietari immobiliari appartiene al ceto medio. Il 94% ha redditi fino 55mila euro, di cui più della metà fino a 26mila. Una categoria ben lontana dai grandi speculatori internazionali.
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