L’Italia gioca d’anticipo rispetto agli altri Paesi dell’Unione europea nella raccolta differenziata rifiuti, tessili in questo caso. Già dal 1° gennaio 2022, infatti, da noi è entrato in vigore l’obbligo di raccolta differenziata di questo tipo di rifiuto. Obbligo che a livello europeo è stabilito entri in vigore nel termine ultimo di dicembre 2025.
L’obiettivo perseguito dall’Europa e dal nostro Paese è quello di diminuire l’impatto ambientale del tessile, Incentivando, nel contempo, il riutilizzo e il riciclo dei materiali di scarto.
Raccolta differenziata del tessile: i dati
Secondo le stime di Ispra (*) il 5,7% dei rifiuti indifferenziati è composto da rifiuti tessili. Parliamo di circa 663mila tonnellate anno di materiale tessile destinato ad essere smaltito in discarica o nell’inceneritore. Materiale che potrebbe essere riutilizzato o riciclato, se non totalmente di certo in gran parte.
La raccolta dei rifiuti tessili in maniera differenziata è mediamente di 2,6 chili per abitante. Con diversificazioni territoriali: al nord si raggiunge quota 2,88 kg, al centro 2,95 kg. La quantità scende a 2 kg al sud.
Nelle Marche, come in Veneto, Emilia-Romagna e Toscana è stata ampiamente superata la soglia dei 3 kg per abitante. Valle d’Aosta e Basilicata sono vicine ai 4 Kg, quota che è superata solo dal virtuoso Trentino Alto-Adige. Umbria e Sicilia, invece, sono il fanalino di coda nella differenziata raccolta in modo consapevole: solo 1 kg di tessile per abitante, mediamente.
Raccolta differenziata del tessile, cosa cambia
Dal 1° gennaio, i Comuni e i gestori che non l’hanno ancora fatto devono attivare questo servizio di raccolta. Dovranno anche regolamentarlo, poichè fra i rifiuti tessili sono compresi, oltre agli indumenti, anche altri generi di rifiuti. Tappezzerie, lenzuola, asciugamani, per esempio, ma anche scampoli di stoffe.
Qualche gestore di raccolta rifiuti ha già richiesto una proroga, almeno parziale.
Lo ha fatto anche qualche imprenditore del comparto tessile-moda, poichè la strategia europea prevede l’estensione della responsabilità del produttore (EPR) anche in tale settore. In ossequio al principio del “chi inquina paga”.
Riconvertire il sistema nel tessile moda richiederà investimenti notevoli. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza ha stanziato 150 milioni per la costituzione di ‘textile hubs’ innovativi. A questi fondi si aggiunge una parte del miliardo e mezzo che il Pnrr destina alle amministrazioni pubbliche per il miglioramento dei sistemi di raccolta differenziata e riciclo .
Investire nel riciclo del tessile garantirebbe di gestire l’80% dei materiali, prima e dopo il consumo: il 75% del riciclato rimarrebbe nel sistema, mentre un 5% sarebbe dirottato verso altri settori industriali. A sostenerlo è il rapporto Global Fashion Agenda, “Scaling circularity”.
La ricaduta dei costi
Le associazioni di tutela dei consumatori sono in stato di pre-allarme: chiedono di prestare attenzione per evitare che i costi ricadano due volte sui cittadini. In un primo momento in veste di acquirenti di prodotti del comparto tessile-moda. Poi in veste di “potenziali inquinatori”, che devono pagare la tassa sullo smaltimento dei rifiuti prodotti.
(*) Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale
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