Rapporto Istat 2020: secondo l’Istituto nazionale di statistica, l’emergenza per la pandemia di Covid-19 rischia di accentuare le “significative” disuguaglianze sociali, che caratterizzano l’Italia. Con l’emergenza sanitaria, si stanno allargando i divari esistenti: nella “scala sociale”, è più facile scendere che salire.
Rapporto Istat 2020: in aumento le diseguaglianze sociali, a causa dell’emergenza Covid-19
Secondo il Rapporto annuale dell’Istat, l’accesso al mercato del lavoro si restringe per le fasce sociali più deboli, come giovani e donne. La “didattica a distanza” vede in svantaggio bambini e ragazzi del Mezzogiorno, che vivono in famiglie con un basso livello di istruzione. Il “segno distintivo” degli italiani, durante il periodo di lockdown, è stato una “forte coesione”. L’Istituto presieduto da Gian Carlo Blangiardo invita a guardare alle criticità strutturali del Paese, che posso diventare le “leve della ripresa”.
La classe sociale di origine influisce meno sulla collocazione nella “scala sociale”, che si raggiunge all’età di 30 anni. Per l’ultima generazione considerata (1972-1986), la probabilità di accedere a posizioni più vantaggiose, nella “scala sociale”, è scesa. Una mobilità, dunque, che si sposta verso il basso: il 26.6% dei figli rischia un declassamento, rispetto ai loro genitori. Una percentuale, praticamente di oltre 1 su 4, superiore rispetto alle generazioni precedenti. Ed è una percentuale più alta di quella in salita (24.9%).
“L’epidemia ha colpito maggiormente le persone più vulnerabili – prosegue l’Istituto italiano di statistica – come testimoniano i differenziali sociali, riscontrabili nell’eccesso di mortalità causato dal Covid-19”. L’incremento della mortalità ha penalizzato soprattutto la popolazione meno istruita, mentre il livello di formazione ricevuta costituisce un buon indicatore di collocazione nella società.
“Il problema del reperimento della liquidità di denaro – afferma l’Istat – è molto diffuso; i contraccolpi sugli investimenti, segnalati da 1 impresa su 8, rischiano di costituire un ulteriore freno, ed è anche preoccupante che il 12% delle imprese sia propensa a ridurre l’input di lavoro, ovvero le assunzioni”. Tuttavia, spiega l’Istat, “si intravedono fattori di reazione positiva e di trasformazione strutturale, in una componente non marginale del sistema produttivo”.
Inoltre, ai dati provvisori sulle forze di lavoro, emerge che i lavoratori in “Cig” (Cassa integrazione) ad aprile, nella settimana di intervista, sono stati quasi 3.5 milioni. E, sempre ad aprile, quasi un terzo degli occupati (7.9 milioni) non ha lavorato. Infine, è cresciuto il numero dei lavoratori che sono andati in ferie.