La Cattedrale di Sant’Emidio si trova a Piazza Arringo, nel cuore del centro storico ascolano.
È un edificio composito di tipo basilicale, frutto di numerosi addossamenti e sovrapposizioni che si sono susseguiti dall’VIII al XVI secolo. La costruzione primitiva del luogo di culto cristiano risalirebbe al IV o V secolo, secondo alcuni studiosi su di un tempio di epoca romana dedicato ad Ercole, a Giunone o alle Muse (ipotesi avvalorata da un’iscrizione adiacente al portale laterale dedicata appunto alle Muse); altri credono, invece, che la primitiva chiesa venne edificata a partire da preesistenti costruzioni civili dell’antico foro romano, opinione avvalorata da ritrovamenti archeologici della fine dell’Ottocento, che hanno dimostrato la veridicità di quest’ultima tesi: la cattedrale fu edificata utilizzando i resti della basilica civile del foro.
La storia della Cattedrale
La facciata, a ordine unico, assume l’aspetto attuale tra 1529 e 1539 su disegno di Cola dell’Amatrice. Costruita, come gran parte del centro storico, in travertino, a metà vede aprirsi il grande portale d’ingresso, mentre ai lati due nicchie ospitano dei sedili in pietra e due torrette romaniche si stagliano contro il cielo: su quella di destra si erge il campanile, mentre quella di sinistra non è mai stata completata.
L’interno è costituito da un’ampia aula a croce latina tipicamente paleocristiana, che fonde gusto romanico e goticheggiante, divisa in tre navate con una cripta al piano inferiore che conserva le spoglie di Sant’Emidio. Nella Cappella del SS. Sacramento, aperta al culto nel 1883, vicino all’altare, troviamo lo splendido Polittico di Carlo Crivelli su cornice gotica risalente al 1473 (attualmente in restauro).
Ai lati dell’altare maggiore si aprono due cappelle: la Cappella della Madonna delle Grazie a sinistra, dal 1961 rivestita di mosaico su disegno di Carlo Mattioli, e, a destra, la Cappella del Crocifisso. Sempre sulla destra si apre la Sagrestia, costruita tra 1415 e 1425, una grande sala sormontata da un soffitto a crociera, con un elegante armadio in noce opera di Moise D’Anversa.
L’abside e le navate centrali risalgono alla fine del Quattrocento. La cripta risale al 1065 circa. Qui troneggia il gruppo marmoreo di Sant’Emidio che battezza Polisia e si trova il sarcofago romano del IV secolo che ospita le spoglie di Emidio e dei suoi compagni; dalla cripta è visibile l’accesso ai cunicoli, probabilmente del XV secolo che, inizialmente utilizzati come luogo di sepoltura, vennero ampliati ed utilizzati come camminamenti sotterranei.
L’ingresso laterale della Cattedrale, in stile tardo rinascimentale, è chiamato Porta della Musa, poiché sulla parete è addossata una epigrafe mista, in latino e volgare, che recita “La Musa. Il nome che tenni una volta, rinnovata terrò. Mi chiamo Porta della Musa. Così come prima ero detta”. Sull’autore dell’iscrizione non si sa nulla di certo.
Un’ultima curiosità sul Duomo: le sue campane hanno tutte un nome; la più grande è dedicata al santo eponimo, la seconda si chiama Marina, la terza Polisia, la quarta Lucertola e la quinta Mariuccia poiché è rivolta verso Colle San Marco.
A fianco della cattedrale si erge, nella sua elegante compostezza, il Battistero di San Giovanni, esempio di architettura religiosa romanica.
La storia di Sant’Emidio
In assenza di documenti, è difficile ricostruire la storia della vita di Sant’Emidio.
Sappiamo che nacque a Treviri nel 273 da una nobile famiglia pagana. Sui primi anni della sua vita le fonti sono povere e divergenti. La conversione al Cristianesimo avvenne grazie alla predicazione dei santi Celso e Nazario; osteggiato dalla famiglia, partì per l’Italia con tre sodali, facendo proselitismo.
Sulla strada verso Roma, l’opera di evangelizzazione portò Emidio ad Ascoli, dove era prefetto Polimio, fautore di dure repressioni contro i Cristiani. Come nelle altre città, ad Ascoli Emidio si prodigò nella guarigione dei malati, cosa che gli consentì di convertire un gran numero di ascolani. Polimio lo credette la reincarnazione di Esculapio, dio guaritore, e gli chiese così di offrire sacrifici agli dei in cambio della mano di sua figlia Polisia. Il santo rifiutò e convertì Polisia stessa al Cristianesimo, battezzandola nel Tronto. Polimio fece allora arrestare Emidio e lo condannò alla pena capitale; il vescovo non si nascose e venne decapitato, mentre Polisia, braccata dal padre, fuggì sul Monte Ascensione e – tradizione vuole – scomparve in un crepaccio.
Gli affreschi rinvenuti nella cripta
La cripta della Cattedrale ascolana fu costruita nell’XI secolo dal Vescovo Bernardo II per dare degna sepoltura alle spoglie di Sant’Emidio, precedentemente inumate nel cimitero ipogeo di Campo Parignano. Da quel momento la cattedrale, consacrata a Santa Maria Madre di Dio, fu con-dedicata a Sant’Emidio.
La cripta venne realizzata sotto l’area del presbiterio (spazio riservato al clero nelle basiliche cristiane, alla fine della navata centrale) della primitiva Cattedrale, incidendo il terreno fino ad arrivare ad una quota nettamente inferiore rispetto a quella delle fondamenta dell’edificio romano su cui la chiesa venne edificata.
La posizione dell’accesso alla cripta è cambiata più volte nel corso dei secoli: anticamente collocato al centro della navata, venne chiuso e ricostruito da Giuseppe Giosafatti nel 1704 su incarico dell’allora vescovo Giovanni Giacomo Bonaventura. Il Giosafatti, assecondando il gusto barocco tipico dell’epoca, trasformò radicalmente l’assetto romanico della cripta, eliminando dalle navate centrali le colonne in travertino e sostituendole con elementi simili in marmo rosso Verona con basi e capitelli bianche. Scelta bizzarra, se si pensa che il resto delle colonne (in travertino) era bianco; in realtà, proprio dalle ultime scoperte è emerso che anche le antiche colonne della cripta erano colorate: da pochi resti cromatici, è stato possibile constatare che erano dipinte di rosso mattone, allusione al sangue del martirio. Ecco allora la ragione della scelta del Giosafatti.
Nell’Ottocento prese il via una nuova campagna di restauri della Cattedrale. Il pittore Cesare Mariani affidò all’allora famoso architetto Giuseppe Sacconi, originario di Montalto Marche, il progetto di riapertura del varco centrale di accesso alla cripta, chiuso nuovamente nel secolo scorso, nel 1967, dal Vescovo Marcello Morgante per ragioni liturgiche, il quale fece aprire due scalinate addossate alle pareti delle navate laterali. Altri interventi si sono susseguiti nel corso degli anni, fino ad arrivare a quello odierno: il restauro degli spazi ipogei della Cattedrale, tramite la scalcinatura degli strati superficiali di intonaco, ha evidenziato sulle volte l’esistenza di elementi decorativi appartenenti a epoche differenti. Il primo strato pittorico è caratterizzato dalla presenza di stelle rosse ad otto punte su fondo neutro, molto simili a quelle che si possono ammirare nelle pareti interne dell’Eremo di San Marco e sulla parete del Salone Caffarelli nel Palazzo Vescovile. Successivamente, le stelle vennero coperte (o inglobate) da un nuovo strato di intonaco con figure di santi, apostoli, vescovi, padri della chiesa, profeti. In più, sulla parete sinistra, dietro un rivestimento murario risalente al 1892, sono emerse ulteriori figure di santi, fatto che avvalora la tesi dell’intera decorazione della cripta su tutti i lati. Purtroppo, gli interventi hanno danneggiato le figure, in particolare i volti, il cui recupero è stato possibile grazie alla presenza delle sinopie (sorta di disegni preparatori).
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