Il Guerrin Meschino è un romanzo cavalleresco scritto da Andrea Mengabotti (o Andrea de’ Mengabotti) ma meglio conosciuto come Andrea da Barberino. La scrittura di questa opera risale al 1410, anche se venne edita per la prima volta nel 1473.
L’autore, toscano originario del Mugello, era una sorta di cantastorie, grande collettore di tradizioni medievali.
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La storia del Guerrin Meschino
Il protagonista del romanzo, Guerrino, che incarna la figura leggendaria del cavaliere errante, tipica della letteratura cavalleresca medievale, venne rapito quando era in fasce e venduto; mostrò, sin da piccolo, un’innata abilità nell’uso delle armi e un grande coraggio, tanto che il figlio del sovrano di Costantinopoli lo volle al suo servizio.
Guerrino si innamorò, così, una volta cresciuto, della principessa Elissena, la quale però dimostrò di non volerlo sposare: Guerrino era un bastardo, non conosceva i propri natali.
L’eroe decise allora di partire alla ricerca di sé e delle proprie radici, iniziando a peregrinare per il mondo. Andrea da Barberino fa sì che il suo eroe giri per tutto il globo, tra Asia, Africa, fino a giungere presso gli Alberi del Sole e della Luna e al cospetto del Prete Gianni, due tradizioni medievali letterarie allora fortemente in voga. Nessuno seppe rivelargli i suoi natali finché, a Costantinopoli, un mago gli parlò di Alcina (nome che fu sostituito a quello di Sibilla nelle stampe del romanzo a partire dal Cinquecento), fattucchiera che viveva in un magico regno incastonato tra i monti del Centro Italia.
Il Guerrin Meschino allora giunse a Norcia (“Nocea, in mezzo alle grandi montagne d’Appennino“) alla disperata ricerca di questa saggia maga, dove i commensali del romitorio presso il quale si fermò gli sconsigliarono di intraprendere questa nuova avventura, che è narrata nel V libro dell’opera.
Da Barberino ci spiega anche da dove derivi il mito sibillino e chi sia questa figura:
Nell’alpi di questa città io ho udito dire che c’è la savia Sibilla, la quale fu si vergine nel mondo ch’ella credeva che Dio scendesse in lei. Quando incarnò in Maria Vergine, e per questo la Sibilla si disperò, ed è giudicata per questa cagione in queste montagne.
L’incontro di Guerrino con la Sibilla
Gli avventori del romitorio proseguirono nella loro opera di dissuasione, spiegando al cavaliere che chi non esce dall’antro entro una certa data rischia la dannazione eterna; Guerrino, tuttavia, da vero cavaliere cristiano, spiegò agli uomini di agire nel nome di Dio:
Io ho speranza d’andare e di tornare per la grazia di Dio, imperò ch’io non vi vado per vanità né per superbia né per ira né per disperazione, ma solamente per ritrovare il padre mio. E credo che Dio non lo arà per male.
Guerrino, irremovibile, dopo essersi confessato, ascese fino al regno della fata, sulla vetta del Monte Sibilla, dove bisognava inabissarsi dentro una grotta; il mondo sotterraneo che trovò era, in realtà, un mondo bellissimo, labirintico, simile all’inferno dell’Eneide, fatto di tentazioni e voluttà, alle quali il cavaliere, grazie alla sua salda fede cristiana, riuscì a resistere.
Il cavaliere si diresse verso la grotta in piena estate, quando il sole è in mezzo al segno del Cancro, salendo gli aspri gioghi appenninici, con mani sanguinanti e cuore saldo, affrontando prove terribili, superando draghi e orridi serpenti, anime per sempre da Dio dannate, che gli sbarrarono il cammino, fino a giungere a delle porte di metallo, dove da ogni lato era scolpito uno dimonio che parea proprio vivo.
Tuttavia, la maga Sibilla, la donna più bella che Guerrino avesse mai visto, fu irreprensibile: gli avrebbe rivelato le sue origini solo tramite la via del peccato carnale. L’eroe, dopo 7 mesi di permanenza, riuscendo con difficoltà e con l’aiuto di Cristo a non cedere alle tentazioni, perse ogni speranza e riuscì a uscire, tra maledizioni a Sibilla e alla sua corte infernale:
Va’ ddi’ alla Sibilla ch’io sono vivo e campato, e viverò sano e allegro per la grazia di Dio e salverò l’anima mia; e voi in quella perduta e scellerata vita viverete ogni giorno morendo, diventando di bella figura in brutti vermini e pessime bestie irragionevoli per li peccati che mutano la vostra figura in laida.
Quello che l’eroe cristiano non riesce però a capire è che la figura della Sibilla Appenninica precede la cristianità, incarnando una sapienza pagana e ancestrale, di molto anteriore al Cristianesimo: probabilmente incarnazione di qualche divinità pagana rimasta viva nelle reminiscenze popolari, svela a Guerrino le radici, non quelle personali ma quelle universali, fatto che però l’eroe non riesce a cogliere nella sua grandezza.
Nel romanzo, tuttavia, sarà dall’incontro con la Sibilla che si innescheranno degli espedienti narrativi volti a far ricongiungere, in Puglia, il valoroso cavaliere con i suoi genitori. Al termine del suo peregrinare, infatti, Guerrino si recò a Roma dal Papa a chiedere perdono, a cercare conforto in Dio. Il pontefice lo inviò nel Sud Italia a difendere re Guiscardo dai Saraceni ed espiare le sue colpe; lì, l’eroe liberò due prigionieri, per poi scoprire che erano i suoi genitori, re Milone e la regina Fenisia. Il padre venne ristabilito Signore di Durazzo, mentre Guerrino, non più meschino, si spostò a Taranto, vivendo per molti anni insieme alla principessa Artemisia.
La tradizione della Sibilla nel Medioevo
È emblematico pensare che un autore come Andrea da Barberino, grande collettore di tradizioni e cultura medievale, inserisca i Sibillini in un capitolo centrale della sua opera: evidentemente, qualche secolo fa, la loro fama a livello italiano ed europeo era davvero grande.
In tempi a lui vicini, comunque, venne alla luce il racconto conosciuto come Il Paradiso della Regina Sibilla, diario del viaggio compiuto nel maggio del 1420 dal cavaliere provenzale Antoine De La Sale, al servizio della casa D’Angiò, alla scoperta della Sibilla Picena. Questo resoconto ha molto in comune con la vicenda narrata nel Guerrin Meschino, nel momento in cui l’eroe tenta di ascendere verso l’antro della maga: la scoraggiante notizia di sfortunati viaggi presso la sua sede, il romitorio prima dell’antro, la difficoltà tremenda del cammino, i dragoni a guardia della grotta, il trasformarsi della Sibilla e delle sue ancelle in serpenti, la successiva espiazione della colpa.