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Adolfo De Carolis,  originario di Montefiore dell’Aso, è stato un pittore, incisore, illustratore e xilografo, considerato dalla critica uno dei grandi esponenti nostrani dello stile Liberty, ma con influenze idealiste e simboliste.

Propugnatore di uno stile raffinato ma deciso, elegante ma che reca in sé qualcosa di tragico, come se fosse incosciente preludio alla fine di un’epoca, le sue opere hanno influito, successivamente, nello sviluppo del gusto floreale, nel settore dell’illustrazione, della pittura, della fotografia.

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Adolfo De Carolis, la storia

Nato a Montefiore dell’Aso nel 1874, muore a Roma nel 1928. Passa la sua vita tra Bologna, dove studia all’Accademia di Belle Arti sotto la supervisione di Domenico Ferri, e Roma, dove invece vince una borsa di studio finanziata dal Pio Sodalizio dei Piceni, non dimenticando mai la sua amata terra natia.

Conosce Giovanni Pascoli e Gabriele D’Annunzio e con loro collabora, illustrando le copertine dei volumi del primo e realizzando allestimenti scenografici per le opere teatrali del secondo.

L’artista viene solitamente annoverato nella corrente dello Stile Liberty, forma d’arte che deriva dall’Art Deco, essenzialmente decorativa, nata per conferire bellezza e raffinatezza alle moderne produzioni di quella che si avviava a diventare la società di massa e della produzione seriale di oggetti.

 

 

Adolfo De Carolis, il Salone delle Feste di Ascoli Piceno

Adolfo De Carolis ha eseguito una sua rappresentazione della Sibilla Appenninica nel Salone di Rappresentanza di Palazzo San Filippo o Palazzo di Governo di Ascoli Piceno (oggi sede della Prefettura e della Provincia), realizzata tra 1907 e 1908.

La donna, affrescata nella parete sud, dedicata al tema del folklore piceno e della montagna, misteriosa e pensosa, è avvolta in una veste celeste, il volto appoggiato sul pugno chiuso. La mole è massiccia, michelangiolesca, come quella delle due donne guerriere raffigurate ai lati, allegoria, quella di destra di Fermo, quella di sinistra di Ascoli. Ai lati della Sibilla ci sono altre due figure femminili vestite di un bianco candido che versano acqua dalle brocche, simbolo di purificazione e fertilità, probabilmente personificazioni dei fiumi Tronto e Tesino (o Aso e Tenna), mentre brucia dell’incenso il cui fumo si perde nell’aria. Nella lunetta che sovrasta l’imponente figura della profetessa troviamo scritto, in latino, “Ne cede malis, audentior ito”, stesse parole proferite dalla Sibilla Cumana ad Enea nell’Eneide di Virgilio (“Non lasciarti opprimere dalle calamità, affrontale coraggiosamente”).

Ai lati sono dipinte scene della vita quotidiana in chiave epica ed esaltante, mitizzando la vita agropastorale e le consuetudini del popolo piceno: monumentali figure di contadine recano sul capo cesti colmi di frutta, altre attrezzi da portare ai mariti dediti alla pesca, magniloquenti ma la cui possenza si stempera nell’eleganza che deriva dalle suggestioni Liberty.

Preparati da studi a tempera su cartone, oggi conservati nella Sala De Carolis e Ferri della Pinacoteca Civica di Ascoli, i dipinti del Salone
della Prefettura sono solo un preludio ai successivi, realizzati soprattutto presso il Palazzo dei Podestà a Bologna (1917-1928), nell’Aula Magna dell’Ateneo di Pisa (1916-1920) e nella sala del Consiglio Provinciale di Arezzo (1922-1924).

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