Nel territorio piceno esiste un oggetto religioso importante, considerato una vera e propria reliquia: la cosiddetta Sindone di Arquata, ora custodita in una teca nel Duomo di Ascoli Piceno nella cappella del SS. Sacramento, dove è conservato anche lo splendido polittico di Sant’Emidio del Crivelli, a causa dei danni che il sisma ha recato alla chiesa nella frazione di Borgo di Arquata che precedentemente la accoglieva, la chiesa di San Francesco, antico edificio della metà del XIII secolo.
Sindone di Arquata, la storia
Della Sacra Sindone di Arquata si erano perse le tracce fino agli anni ‘80 dello scorso secolo, quando, durante dei lavori di restauro per sanare i danni inferti dai terremoti del ‘72 e del ‘79, venne trovata un’urna dorata nascosta dietro la nicchia di un altare contenente un documento e una copia fedele della Sindone di Torino.
Come nell’originale, si tratta di un lenzuolo (di lino) con la doppia immagine, fronte-retro, di un uomo supino, con barba e capelli lunghi e
macchie di sangue nei pressi del costato. Al centro, tra le due teste, si legge la scritta “EXTRACTUM AB ORIGINALI” (“tratto dall’originale”), a conferma della sua veridicità: la copia fu dipinta ritraendo direttamente la vera Sindone, usanza che anticamente era diffusa e che veniva praticata durante le ostensioni della reliquia.
Insieme al lenzuolo, venne rinvenuto, nella teca dorata, un documento datato 1655, il quale ci informa (in latino) che il 4 maggio del 1653 durante una pubblica ostensione nella Piazza di Castelgrande a Torino della Sacra Sindone, pratica usuale a quel tempo, Monsignor Brizio ne dipinse una copia e la fece toccare sull’originale. Questo fatto è di grande importanza: per il credo cristiano il solo contatto con una reliquia trasmette all’altro oggetto potere sacro.
Le notizie che si hanno sulla Sindone di Arquata nel corso dei secoli sono scarse; viene citata in una lettera del 1903 e, nel 1915, in una rivista
intitolata “Picenum Seraphicum”. Alcune memorie si mantengono, però, vive nella tradizione orale locale. Da abitanti del luogo sappiamo che il telo veniva raramente mostrato al pubblico e solo in situazioni particolarmente drammatiche, come carestie, siccità, guerre, durante le quali era portato in processione con cento lumi. Proprio alla Seconda Guerra Mondiale risale, a quanto sappiamo, l’ultima ostensione. Altre fonti ci dicono che nel 1931 il telo venne trasportato a Torino e sovrapposto nuovamente all’originale.