Giornata della Memoria, il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa guidata dal maresciallo Ivan Konev fa irruzione nel campo di concentramento di Auschwitz, liberando gli ebrei e gli altri detenuti che vi erano rinchiusi, svelando così gli orrori che avvenivano al suo interno. I prigionieri liberati ancora in vita erano circa 7000.
Il 1 novembre del 2005 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite istituisce una giornata per commemorare questa ricorrenza, chiamandola “Giornata Internazionale di commemorazione in memoria delle vittime della Shoah”.
Una piccola questione terminologica: due termini, che dopo lo sterminio europeo degli Ebrei sono diventati interscambiabili, Olocausto e Shoah, in realtà in origine non erano sinonimi. L’Olocausto (termine che deriva dal greco) è una forma sacrificale praticata da ebrei e greci antichi, mentre la parola Shoah deriva dall’ebraico e significa “catastrofe”, “calamità” ma negli ultimi anni ha iniziato ad essere preferita ad Olocausto per indicare lo sterminio degli ebrei, perché non ha in sé insito il significato di un sacrificio religioso inevitabile.
Giornata della Memoria, l’origine dei campi di concentramento
I campi di concentramento iniziano ad essere creati in Germania nel 1933. Vi venivano rinchiuse persone ritenute “non assimilabili” alla purezza della razza ariana. In poco più di un decennio, dal 1933 al 1945, un terzo del popolo ebraico viene sterminato, insieme ad altre minoranza come disabili, Rom, omosessuali. In questo lasso temporale, 15 – 17 milioni di persone hanno perduto la vita a causa della persecuzione razziale e politica messa in atto dal regime totalitario tedesco.
Auschwitz, nel corso degli anni, è diventato un vero e proprio simbolo della Shoah. Il campo viene creato nel 1940 nei dintorni di una cittadina polacca chiamata Oswiecim; inizialmente viene creato a seguito della saturazione delle carceri, a causa del gran numero di arresti di polacchi da parte della polizia tedesca, ma dal 1942 diviene il principale centro di sterminio di massa degli ebrei, luogo della “soluzione finale”, e il nome della cittadina stessa viene modificato in Auschwitz.
Il motto Arbeit macht frei, ovvero Il lavoro rende liberi, è ciò che accoglieva i condannati all’ingresso del campo dove, dal 1940 al 1945, morirono 1,1 milioni di persone (di cui il 90% ebrei deportati da tutta Europa). La zona di edificazione fu scelta per una serie di ragioni logistiche, avendo una rete ferroviaria già sviluppata che ben permetteva i collegamenti con gli altri paesi. Il campo si estendeva su un’area di circa 200 ettari; nel 1941 fu allargato con la costituzione dell’annesso campo di Birkenau.
Auschwitz, la storia
Dall’Italia, il primo trasporto di Ebrei per Auschwitz avvenne il 23 ottobre del 1943; in totale, nel lager simbolo della Shoah persero la vita circa 8 mila italiani.
I deportati, una volta giunti a destinazione, venivano visitati dal personale medico delle SS che compiva la prima selezione: di solito, chi non era giudicato adatto al lavoro, quindi bambini, donne, anziani, madri, era automaticamente condannato a morte. I pochi prigionieri dichiarati abili al lavoro venivano spogliati, rasati e rivestiti tutti allo stesso modo. Sull’avambraccio sinistro veniva loro tatuato un numero ed era associato un contrassegno indicante la categoria (Ebrei, Rom, Sinti, Testimoni di Geova, omosessuali, criminali, prigionieri politici,…).
I campi erano organizzati in aree: c’era l’ospedale, la cucina, l’ufficio della Gestapo, la prigione, la zona riservata agli esperimenti e il reparto dei forni crematori. Vicino c’erano le baracche, i lavatoi e le latrine, divise tra reparto maschile e reparto femminile.
A dirigere i lavori ad Auschwitz erano Rudolph Hoss ed altri membri delle SS, dipendenti direttamente da Hitler, Himmler ed Eichmann; al loro fianco operava un gruppo di medici, tra cui il famigerato dottor Mengele, conosciuto come “Angelo della morte”, che vi arrivò tra 1942 e 1943. Analizzò centinaia di coppie di gemelli, utilizzandoli come cavie umane per studi eugenetici: ad essere impiegati erano soprattutto gemelli monozigoti perché possiedono geni identici, ed ogni eventuale variazione nella risposta all’esperimento tra i due individui era quindi il frutto di fattori ambientali per Mengele interessanti da studiare.