Il miglior modo per ricordare un immenso letterato come Leopardi è sempre farlo tramite le sue parole.
Nonostante il poeta non fosse un amante degli anniversari (“È pure un bella illusione quella degli anniversari per cui quantunque quel giorno non abbia niente più che fare col passato che qualunque altro […]” scrive nello Zibaldone, immensa opera di più di 4000 pagine a cui lavora per tutta la vita), lo scorso anno si è celebrato il bicentenario della composizione dell’idillio L’Infinito (1819), breve composizione che ha cambiato le sorti della letteratura mondiale. In effetti, tutta la vita di Giacomo Leopardi è stata un costante confronto con l’infinito, concetto per lui non scindibile dall’ingombrante presenza del paesaggio marchigiano incorniciato, a ovest, dai Monti Sibillini e ad est dal Mar Adriatico.
Sicuramente, la sensazione – e l’intuizione – dell’infinito spaziale e temporale sono state influenzate dalla vista che il poeta godeva dal suo borgo natale, affacciato sui Sibillini, sorta di siepe che precludeva lo sguardo sull’orizzonte. Da Recanati, infatti, i Sibillini scolorano in lontananza, diventano vaghi e intangibili, eterei, per questo sono conosciuti anche come Monti Azzurri, per la sfumatura che assumono guardandoli da lontano. Leopardi li chiama così ne Le Ricordanze:
[…]
E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Del resto, le Marche si nutrono di contraddizioni: spaziano dal dolce digradare dei colli che scendono, quieti, al mare, basso e calmo, ai picchi sibillini che, minacciosi, nel corso del tempo sono stati fonte di ispirazione di macabre storie e leggende, duri in inverno ma ammorbiditi in estate dalla luce che si infrange contro le rocce, quasi come a stabilire un legame con il sole e con la luna, imprescindibile e duraturo.