Eremo di San Giorgio, il complesso, conosciuto dai climber che frequentano la sovrastante falesia di S. Giorgio e dagli appassionati d’arte locali, rammaricati per il destino infausto al quale è andato incontro, è stato messo in vendita qualche mese fa.
Situato nei boschi della frazione Monte Rosara, in provincia di Ascoli Piceno, coprendo una superficie di 1.985 metri quadrati, ha un valore stimato di circa 2 milioni di euro, esclusa l’estensione del terreno circostante. È a questa cifra, appunto, che i 40 proprietari hanno deciso di metterlo sul mercato, mentre il comune di Ascoli Piceno aveva offerto, nel 2009, 200 mila euro.
Eremo di San Giorgio, la storia
Il suo nome è legato alla vicenda dell’uccisione del drago da parte di S. Giorgio: in antichità erano visibili vapori provenienti dal corso di acqua sulfurea sottostante, usati per curare i lebbrosi, due elementi che concorsero alla nascita della leggenda, ricordando che nel folklore antico il respiro del drago è spesso legato ad aliti caldi provenienti dalla terra. Nome completo dell’eremo è, infatti, S. Giorgio in Salmasio o ai Graniti, per la parete di travertino che domina il complesso.
Nato nel 1343 come lebbrosario, per volere della nobildonna Livia Martelleschi, nel 1382 viene trasformato in eremo, ad opera di frati di osservanza francescana, appoggiati dall’allora vescovo di Ascoli Piceno Pietro III Torricella. A metà XVI secolo passa ai Minori Osservanti. Diventa proprietà privata quando, dopo l’Unità d’Italia, vengono sciolti gli Ordini Religiosi: acquistato dapprima, nel 1889, da Padre Sante Scaramucci, nel 1907 passa ad alcuni agricoltori divenendo casa colonica, stalla e magazzino. Da questo momento, inizia la storia della sua rapida decadenza.
Eremo di San Giorgio, le condizioni attuali
Mentre dall’antichità pagana, periodo nel quale era luogo di culto di riti legati al femminile e alla rinascita della vita dopo l’inverno, fino agli anni ’50 è ancora meta di pellegrinaggi cristiani primaverili, trasfigurazione di quelli antichi consacrati alla Terra, oggi l’edificio versa in una gravissima condizione di degrado, soprattutto dopo il crollo del campanile e della parte sottostante, avvenuta a seguito del terremoto del 1972.
La struttura è posizionata in un luogo di forte suggestione. Vi si arriva solamente a piedi, seguendo un sentiero che attraversa il bosco, immersi nel silenzio e negli odori della natura; se l’impressione è oggi questa, figuriamoci quale avrebbe potuto essere secoli fa, non camminando su terra ma su un sentiero lastricato del quale si vedono ancora i resti. L’edificio era semplice: dall’atrio, al piano terra, si accedeva alla chiesa e al chiostro. In fondo, un loggiato ad archi apriva ad una vista mozzafiato sulla Montagna dei Fiori, montagna ascolana per eccellenza, e sul borgo di Castel Trosino. Al primo piano si trovavano le celle dei frati. I tetti sono caduti, i pavimenti del primo piano quasi interamente crollati, quelli del piano terra per la maggior parte infestati da rovi ed arbusti. A giudicare dai resti, gli affreschi, del quale non si trovano che flebili residui e macchie di colore, erano dovunque.
Già nel 1989 la Comunità Montana del Tronto aveva ipotizzato un progetto di restauro, nel quale l’ex eremo sarebbe diventato struttura ricettiva ad uso terapeutico-termale, sfruttando le sorgenti sottostanti, oppure un centro studi e convegni. Purtroppo, niente di tutto ciò è andato in porto. Ora si sogna una simile eventualità, sperando nella generosità privata di un mecenate che trasformi quel luogo pieno di storia, dove le vite di molte persone si sono susseguite in maniera appartata e meditativa, in un resort o hotel di lusso.