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Avrei voluto fare un post letterario e invece me ne tocca uno femminista. Sì lo so, fa caldo, è agosto e voi penserete che sono una rompiscatole. Sempre a polemizzare su tutto e a guardare con un severo occhio critico il mondo dei media.

Mi rendo conto che il compito di questa rubrica è parlare di libri ma i libri dovrebbero insegnarci innanzi tutto a ragionare meglio e con più precisione, no?

La mia inesauribile vis polemica ha avuto negli ultimi giorni una sorta di impennata storica, nata da una serie di cose seriamente brutte che sono apparse in giro nella rete e nel mondo dei media.

Perché questo post femminista

Facciamo un po’ di chiarezza: la prima perla che apre la carrellata di  improponibili gaffe comunicative ci è stata offerta dai nostri governanti.

Come sapete io non vorrei (per ragioni di correttezza) occuparmi di politica ma l’ultimo pirotecnico colpo di genio del governo merita una citazione.

Il dipartimento delle mamme, titolo che sembra uscito da uno spot anni ‘50 sul miglior mocho vileda (dipartimento mamme all’attacco dei batteri) è stato per qualche giorno al centro della polemica sui giornali e sui social (a riguardo cito le illuminate parole di Loredana Lipperini).

L’idea in sé forse aveva uno scopo nobile ma il sottile, crudele e misogino dettaglio linguistico nella scelta della parola “mamme” è degno del più efferato dei regimi maschilisti (o del più idiota dei dirigenti).

Come si fa a chiamare una realtà che dovrebbe sostenere la genitorialità il dipartimento delle mamme? Ma perché i papà che vi hanno fatto? E le famiglie arcobaleno? Perché una donna che ha figli smette di essere qualunque altra cosa e viene chiusa nella etichetta “mamma” senza possibilità si salvezza o uscita. La maternità è un destino (irrevocabile) o una scelta consapevole e libera? Insomma diciamo che a volerlo chiamare scivolone linguistico si è troppo clementi.

Si tratta in questo caso di un chiaro sotto-testo di quello che in realtà si pensa (in certi ambienti) delle donne: che devono stare a casa a fare figli.

Altro motivo di rabbia (e tanta): la vergognosa narrazione che hanno fatto i media degli ultimi casi di femminicidio. Sì, lo so, torno sempre a dire le stesse cose ma credo, che visto che nulla cambia, sia dovere fermo di tutti i cittadini che vedono una cosa che non va, segnalare, denunciare e rimarcare allo sfinimento quel problema.

Uno di questi delitti è quello che più mi ha ferito.

Sto parlando del caso della giovane in vacanza con il fidanzato (notate bene faccio fatica anche io a ricordare i nomi e i luoghi). Di tutto quel tristissimo fatto, ricordo solo che tutti i giornali hanno detto che la donna è stata ammazzata per via di un litigio nato dalle briciole sul tavolo.

Ora perdonatemi ma vi rendete conto che in questa frase c’è qualcosa che non quadra. Dire che un litigio finito con una persona uccisa a coltellate è nato per via di un bisticcio sull’ordine in casa è pura illusione ottica.

Vuol dire spostare l’attenzione dalla vittima e dall’efferatezza del gesto al contorno folcloristico, da barzelletta anni ‘80 con la moglie rompiscatole che urla per far mettere le pattine e il marito che sbuffa. Per favore non dite che una persona viene uccisa per le briciole.

Dite che una persona viene uccisa perché qualcuna la valuta meno delle briciole, meno dell’idea di onnipotenza in cui falsamente si culla.

Due casi due linguaggi sbagliati. Cosa sono le donne? Quelle che fanno i figli (le mamme) o quelle che puliscono casa (le briciole).

L’anima il cervello la libertà delle donne dove sta? Nello scegliere il tipo di antimacchia per i vetri? Il colore del passeggino?

Come se non bastasse mentre noi siamo a discutere di “mamme” e di “uomini che non accettano la fine della relazione” in Inghilterra, a Londra, viene approvato un protocollo rigidissimo sull’uso del corpo nei messaggi pubblicitari. Insomma diciamo che la strada da fare è ancora tanta…

Ad esempio ho visto con un po’ di sconcerto una recente campagna di un bel festival italiano (fatto da amici bravissimi e pieni di talento) che ahimè anziché inventarsi un manifesto particolare per il loro festival hanno pensato bene di mettere insieme il famoso lato b di una storica campagna del fotografo Toscani con la statua della Venere Callipigia.

Ora, d’accordo c’è tutto un gioco di citazioni e “scandali” che percorrono il tempo, ma – davvero senza cattiveria – temo che quello spot perda il suo impatto, soprattutto se visto da persone che non conoscono la storia del costume e che si ritrovano solo l’ennesimo pezzo di carne femminile usato come transfer di un messaggio che è tutt’altro.

Insomma se negli anni 70 quello spot suscitò un dibattito che coinvolse Pasolini ora non so se in un’epoca come la nostra possa avere lo stesso effetto provocatorio. 

Per questo motivo vorrei usare questo post per consigliarvi alcuni libri che parlano di donne e di come le parole e gli atteggiamenti del quotidiano siano importanti strumenti nella lunga battaglia per la parità sociale e di genere.

La premessa è stata lunghetta ma spero che la curiosità di sapere quali libri vi consiglio questa settimana vi abbia fatto arrivare fin qui.

Consigli di lettura 

Il primo è proprio un testo di Loredana Lipperini, scritto insieme a un’altra scrittrice che apprezzo molto, come sapete, Michela Murgia. Il loro è il sempre (ahimè) attuale “L’ho uccisa perché l’amavo! Falso” della Laterza.  

Proseguo con un testo interessante che analizza la situazione politica contemporanea per in rapporto al corpo femminile: “Libere Tutte” di D’Elia e Serughetti. Un testo molto puntuale e interessante.

Oltre – infine – allo stra-citato “Il corpo delle donne”, classico del genere, voglio proporvi un libro molto interessante che proprio per il tema credo sia adatto al  mio post così severo sull’uso del linguaggio e delle immagini.

Si tratta dell’ultimo di Anna Banti “Quando anche le donne si misero a dipingere”. Una piccola rivoluzione permise alle donne di prendere in mano i colori e iniziare a entrare (prima in punta di piedi, poi sempre con maggior importanza) nel mondo delle immagini.

Chissà forse è stato proprio quel momento uno dei primi in cui il mondo non fu più raccontato con occhi solo di un genere.

Buon fine luglio e scrivetemi a info@bibliodiversita.it

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