Una brutta notizia che si riflette essenzialmente a chi è già gravato dai costi della vita, e che ora dovrà fronteggiare un nuovo balzo: a febbraio, il rincaro è arrivato all’1,5%, facendo dimenticare, di fatto, il rischio opposto, ossia quello di una possibile deflazione alle porte. Se la dinamica dei prezzi è al rialzo, è però preoccupante tutto il contesto in cui questi rincari sono avvenuti. A fronte di una velocità di “crociera” abbastanza sostenuta, non è riscontrabile infatti ad un parallelo rafforzamento dell’economia, né a livello continentale, né tanto meno nazionale. La situazione potrebbe anche complicare i piani della Banca Centrale Europea, che aveva previsto una serie di interventi per acquistare titoli di Stato per calmierare lo spread e i timori finanziari sul buco economico che l’Italia non riesce a ripianare così facilmente.
Oltre al “danno” di un’Italia che non riesce con le manovre politico-economiche a risalire la china, arriva anche la beffa di un rincaro dei prezzi certificato da Istat. Secondo le stime preliminari relative al mese di febbraio, il NIC – indice nazionale dei prezzi al consumo per l’intera collettività – fa registrare un +0.3% rispetto al dato registrato a gennaio, e un rincaro annuale dell’1,5% rispetto a febbraio 2016.
Quanto si è verificato durante lo scorso mese è però una conseguenza naturale di quanto accaduto a gennaio. Nei numeri, le impennate più importanti sono relative ai prodotti “volatili”, come alimentari non lavorati (+8,8%), beni energetici non regolamentati (+12,1%) e servizi relativi ai trasporti (+2,4%). In considerazione di tale situazione cresce anche l’inflazione di fondo, che trascina al rialzo anche l’indice generale dei prezzi al consumo e anche l’IPCA, Indice Ammortizzato dei Prezzi al Consumo. In questa situazione, e visto che i livelli sono tornati gli stessi del 2013, da una parte restano scongiurati i rischi di deflazione, ma dall’altro l’economia ne risulta indebolita.
Gli italiani, infatti, percepiscono ancor di più una situazione così opprimenti: le dinamiche di retribuzione delle famiglie non corrono di pari passo con i rincari. A dicembre, gli stipendi medi crescevano appena dello 0.4% su base annua, senza far registrare incrementi rispetto al mese precedente. Ed è per questo motivo che sono molteplici gli allarmi delle associazioni di consumatori e di categoria, che evidenziano non solo le palesi conseguenze ai danni della popolazione nazionale, ma anche lo spettro di una stagflazione, termine che indica, a fronte di un’inflazione al rialzo, una bassa crescita economica e retributiva.
Questa situazione, però, era già stata prevista dalla Banca Centrale Europea ancor prima della risalita dell’indice Hicp. Il numero uno della BCE Mario Draghi aveva evidenziato che gran parte degli stimoli finanziari promossi a livello comunitario per evitare derive ben più pericolose avrebbero probabilmente prodotto un caro prezzi. Di contro, si è stabilizzato il prezzo del petrolio tra i 50 e i 60 dollari al barile, anche se non si è assistito ad una conseguente stabilizzazione del prezzo della benzina.
La situazione attuale rende fortemente instabile anche il mercato finanziario, il cui andamento si ripercuote costantemente sui risparmiatori che hanno deciso di puntare su investimenti finanziari. Come spiegano gli analisti di Moneyfarm in una guida dedicata ai risparmiatori “l’inflazione (il cui effetto puoi apprezzare pienamente conto solo nel lungo periodo) ha lo stesso effetto di una tassa che va progressivamente a erodere il valore reale del tuo capitale”. In tal caso, è sempre importante avere nel proprio portafoglio qualche soluzione a lungo termine, che sia in grado di “ammortizzare” i rischi di inflazione e deflazione e sia meno improntata al rendimento a breve termine. Solo in questo caso gli italiani potranno evitare una nuova “stangata” oltre a quella relativa ai prezzi e ai rincari dei beni di prima necessità.