Come ultimo saluto al 2016 la Marvel ha scelto il geniale e arrogante Doctor Strange.
Abilissimo nelle operazioni più complicate, venerato (e anche odiato!) dai colleghi, avvezzo ad un lusso sfrenato e con un ego smisurato Stephan Strange non è esattamente il prototipo dell’eroe che vorremmo.
Quando dopo un’incidente al risveglio guarda l’unica cosa che per lui conti (non la collega amante Rachel McAdams ahimè, ma le sue mani)ridotte a un tremolio incessante, decide di spendere tutti i suoi soldi in varie operazioni. Ma la scienza e le operazioni chirurgiche non sono esattamente di casa nel mondo Marvel.
Incoraggiato da un vecchio paziente con una lesione spinale e ora miracolosamente guarito, Strange si dirige in Tibet.
Inizierà così un vero addestramento della mente con l’Antico.
Nel delirio di immagini e colori che è la prima esperienza di Steven Strange nella dimensione astrale, ossia il momento in cui per la prima volta il suo corpo fisico viene separato dalla sua entità astrale (anche nota come anima), c’è un piccolo assaggio di cosa può fare ora il cinema.
La vera impresa di Doctor Strange non è quella di creare il mondo psichedelico dei fumetti di Strange, ma di spingere al massimo quest’acceleratore come raramente si fa nelle macchine grandi e costose quali i film Marvel e di farlo senza incidere sulla trama che poteva risultare un po’ ostica. Siamo semplicemente di fronte ad un film in cui mentre gli occhi si perdono nelle vorticosi immagini e nei stupefacenti effetti speciali, la testa ha sempre ben chiara la storia.