ASCOLI PICENO – Italia, la Patria per eccellenza della famiglia e della sacralità della maternità. Questa è la cartolina. Invece il quadro reale della situazione, come al solito, ma ormai non ce ne stupiamo, è ben diverso. Essere donna, madre e lavoratrice e fare conciliare il tutto non è solo difficile, ma diventa in certi casi impossibile. Lo Sportello Ascolto Rosa dell’Usb di Ascoli Piceno, dati alla mani, sostiene che è peggiorata la condizione femminile sul lavoro e nella società. Lo testimonierebbero un centinaio di donne in difficoltà, disoccupate e non, in prevalenza italiane di età compresa tra i 30 e 50 anni, e con una buona istruzione, che si sarebbero rivolte allo sportello per avere ascolto, assistenza legale e lavorativa, sostegno psicologico e anche per trovare nuove opportunità di impiego o reddito. Per la responsabile di Ascolto Rosa, Tiziana Vagnoni, la fotografia che emerge è quella di una realtà di lavoro sommerso, sottopagato e sottoposto a ricatti, in particolare nel mondo del commercio.
Il fatto più grave che si ricorda? “Una donna, assunta e con i contributi pagati, una volta rimasta incinta, ha ricevuto velatamente delle minacce dall’azienda, che non aveva trovato nessuno che la sostituisse e ha dovuto lavorare fino ai nove mesi”.
Ma non è illegale? Abbiamo sentito di donne che volentieri avrebbero lavorato fino a 9 mesi per non pensare al parto, soprattutto nel caso di una prima gravidanza, oppure per prendersi più tempo dopo, ma non è permesso… “Se l’ambiente di lavoro è circoscritto non ci sono i controlli, a meno che qualcuno non denunci. Il problema è che le donne spesso lavorano a nero, e molte di loro, in caso di gravidanza, continuano a lavorare fino alla fine e tornano subito dopo il parto. Si devono accontentare della maternità che gli dà una tantum il Comune, che corrisponde a 1500 euro, ma solo se ci rientrano per Isee. Ma non possono usufruire della vera maternità, quella dell’Inps”.
Ai colloqui spesso ancora si sentono queste domande “È fidanzata? Si vuole sposare? E i figli? “Mi rendo conto che se mi dovessi mettere al posto del datore di lavoro, probabilmente sceglierei anche io un uomo. Ci sono donne, e bisogna essere onesti ad ammetterlo, che facendo un figlio dopo un altro, non tornano a lavoro se non dopo un paio di anni. Per questi atteggiamenti di alcune, poi in mezzo ci finiscono tutte. Bisognerebbe prendere coscienza dei diritti e rilanciare sostegni a imprese rosa”.
Per non parlare di donne alle quali non viene rinnovato un contratto perché incinte… “È successo proprio a me. Ho lavorato per 5 anni in un altro sindacato più grande, mi occupavo del fiscale e avevo contratti a tempo. In prossimità dell’ennesimo rinnovo, rimasi incinta e persi per questo il lavoro. Tutto questo è accaduto proprio nel luogo, per antonomasia, deputato alle tutele dei lavoratori”.
Per l’assenza di un serio Welfare, per le donne italiane conciliare maternità e lavoro è sempre difficile… “I prezzi del nido sono troppo alti per le donne che non hanno la fortuna di avere nonni disponibili. Spesso rinunciano al lavoro e preferiscono allevare i propri figli, visto che, in caso contrario, gran parte del loro stipendio sarebbe utilizzato per la retta mensile. Nel mio caso, visto che lavoro part time, mia figlia la porto al nido solo per alcune ore al giorno. Ho scelto un pacchetto mensile di 30 ore che pago 150 euro. La quota normale sarebbe di 300 euro”.
Che fare per affrontare questa situazione, almeno nel Piceno? “Occorre che le donne, di tutte le età e condizioni prendano coscienza dei propri diritti, oltre che dei propri valori e limiti, e dall’altra vengano aiutate a creare direttamente nuove occasioni di lavoro e sviluppo, con il rilancio e rifinanziamento dei fondi europei e regionali per le imprese femminili. Il nostro Sportello intanto promuoverà una serie di incontri a tema, per fare informazione e formazione sulle questioni più urgenti, destinato a tutte le persone che vogliano parteciparvi”.