L’odio racconta la giornata di tre ragazzi della banlieue parigina in un clima di tensione sociale. “Questa è la storia di un uomo che cade da un palazzo di 50 piani; mano a mano che cadendo passa da un piano all’altro, il tizio per farsi coraggio si ripete: fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Fino a qui tutto bene. Il problema non è la caduta, ma l’atterraggio”.
Il problema diventa ancora più grande quando a cadere non è solo un uomo, ma un’intera società.
Il 2015, anno che segna il ventesimo anniversario del film culto di Mathieu Kassovitz, si è aperto con un attentato che ha sconvolto Parigi e il mondo occidentale, non solo per la ferocia con cui è stato perpetrato, ma per l’obiettivo stesso dell’attacco, la redazione di un giornale satirico.
Ne è nato un inevitabile scontro di civiltà, in cui l’istinto generale è stato quello di schierarsi contro il nemico, facilmente individuabile nella matrice islamica dell’attacco, con buona pace di chi nonostante tutto continua a proclamare la necessità di un dialogo che porti a una soluzione civile.
Il film di Kassovitz, realizzato all’epoca di un altro attentato che colpì la capitale francese, si rivela ancora di profonda attualità per il tema trattato. Vinz (Vincent Cassel), Saïd (Saïd Taghmaoui) e Hubert (Hubert Koundé) sono tre ragazzi della banlieue parigina. Dopo una notte di scontri con la polizia, in seguito ai quali il loro amico Abdel si trova in pericolo di vita, Vinz trova una pistola persa da un agente, e decide di usarla per vendicarsi nel caso il giovane morisse.
Il film, girato in un bianco e nero che ne sottolinea sapientemente la crudezza, spegnendo già in partenza ogni accenno di colore, segue un ritmo serrato in cui i dialoghi, che in lingua originale sono in verlan, diventano protagonisti in quanto espressione dell’estrazione sociale dei ragazzi ed emblema delle difficoltà di integrazione culturale in una metropoli come Parigi.
“L’odio chiama odio” Questo ripete Hubert per tentare di spegnere i propositi vendicativi di Vinz.
L’attualità dell’opera di Kassovitz sta tutta in questa semplice quanto disarmante verità. Quando di fronte alle immagini di un attentato come quello del 7 gennaio 2015, si strumentalizza l’evento per giustificare gli appelli alla pena di morte e alla chiusura delle frontiere, si entra in un vortice da cui la storia ha dimostrato che è impossibile uscire e la società precipita, continuando a ripetersi: fino a qui tutto bene.
Ma il problema continuerà ad essere l’atterraggio.
REGIA: Mathieu Kassovitz
ANNO: 1995
GENERE: Drammatico
DURATA: 95 minuti