“La caccia alle streghe”. Domenica primo dicembre alle ore 18 presso l’Auditorium comunale in viale De Gasperi si svolgerà l’iniziativa promossa dall’associazione Alchimie d’Arte per presentare in anteprima foto e filmati di Raffaella Milandri. Un appuntamento che gode del Patrocinio della Regione Marche, della Provincia di Ascoli Piceno e del Comune di San Benedetto del Tronto, nonché della preziosa collaborazione dell’Ente Nazionale Sordi di Ascoli Piceno, dell’Aprosir e dei Giardini San Michele. In vista di questo evento, abbiamo colto l’occasione per rivolgere alcune domande a Raffaella Milandri, autrice del libro “La mia tribù, storie autentiche di Indiani d’America” edito da Polaris per la sezione Percorsi e Culture.
Il conflitto tra gli “uomini bianchi” e gli “uomini rossi”, dalla frontiera ai giorni nostri; chi sono i protagonisti del libro? Chi sono i Crow? “I protagonisti del libro siamo noi, gli uomini bianchi, con la nostra cultura soverchiante e invadente, e i Nativi Americani, legati alla loro terra e alle loro tradizioni, in lotta per la sopravvivenza anche ai giorni nostri. Da un lato storico, il libro racconta il passato visto attraverso gli archivi del Governo Statunitense e della Nazione Crow; ma racconta, attraverso incontri, interviste e amicizie, la situazione di oggi degli Indiani d’America, i loro reali problemi. A centro del libro c’è la storia della mia adozione presso una famiglia Crow, la stessa che ha adottato il presidente Obama. È una adozione carica di significati, che simboleggia la fratellanza fra Uomini. Per me, un grande onore che mi ha permesso di partecipare a cerimonie, usanze e tradizioni perlopiù proibite all’Uomo Bianco”.
“La mia tribù. Storie autentiche di Indiani d’America”, come è nata l’idea di raccontare la storia di un popolo attraverso le immagini? “Immortalare i volti, le espressioni e le usanze degli Indiani d’America è un modo per rendere loro omaggio e per mostrare quanto essi siano fieri di essere quello che sono e orgogliosi delle loro radici. È un modo per sentirli vicini, conoscerli ed amarli”.
Le fotografie rappresentano il suo primario impegno di testimonianza, ma cosa muove il suo animo a partire alla scoperta di un popolo lontano (geograficamente) e diverso (culturalmente) dal nostro? “Quando parto, armata non solo di macchina fotografica ma anche di telecamera e di carta e penna, vado alla ricerca del senso dell’Uomo, che appare molto più chiaro e semplice, nel suo legame alla Natura, in quei popoli indigeni che hanno scelto di vivere uno stile di vita diverso dal nostro. I Popoli Indigeni vivono negli ultimi paradisi terrestri, al ritmo della Madre Terra. Purtroppo il Dio Denaro, che regna nella nostra civiltà occidentale, fa sì che spesso questi popoli pacifici -pigmei, boscimani, aborigeni e tanti altri-soccombano alla avidità di multinazionali e Governi, che mirano alle risorse naturali delle loro terre ancestrali. Quando io vado nei villaggi più speduti, chiedo: ‘Quali sono i vostri problemi?’, e qui spesso mi si spalancano di fronte delle voragini di ingiustizia e atrocità. Prima partivo solo per spirito di conoscenza; ora, sono una attivista per i diritti umani che raccoglie non solo foto, ma testimonianze e cerco di divulgarle per salvare questi popoli. Il mio ora è un lavoro di testimone, attraverso foto, filmati e libri”.
A fine agosto è stata in Nuova Guinea, vuole raccontarci qualcosa della sua ultima esperienza? “La Papua Nuova Guinea è un Paese bellissimo, ma terribile. È un Paese ricco di risorse ma sfruttato da altri Paesi, che poco si curano di aiutare lo sviluppo economico e sociale della Papua Nuova Guinea. Indipendente dal 1975, soggetto a un Governo di pochi, è uno dei Paese più violenti al mondo. Sono stata coinvolta in una sommossa, in una guerriglia con machete e bastoni, mentre la polizia sparava e lanciava lacrimogeni. Ma avevo un obiettivo: raccogliere le testimonianze delle donne indigene, che sono secondo l’ultimo report dell’Onu soggette a violenze nella misura del 66% e a stupri in misura del 50%. Dati terrificanti che denunciano come la donna , qui anche più di altrove, sia il parafulmine di una società che, laddove sia improntata ai valori occidentali, è in seria decadenza. Sono in contatto con una associazione di donne che lottano contro stupri e violenze e sto raccogliendo per loro telecamere, macchine fotografiche e cellulari usati che possano servire loro a documentare le violenze per diffonderle ai media, e nel caso dei cellulari possano servire proprio a chiamare aiuto”.