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Immagini di uomini e donne persi nella notte, nel sesso, nella droga e nell’alcol si rivelano con tutta la loro potenza in questo libro che raccoglie una serie di racconti scritti dall’ascolano Nazzareno Bachetti. “L’unica chiave” è quella che i personaggi ai margini della comune esistenza vanno cercando, cozzando contro un destino che pare inevitabile. Intontiti da subitanei dolori, i personaggi di Bachetti camminano come equilibristi sul sottile filo che divide la vita dalla morte. 

Rimpianti martellanti, anfiboli rapporti, rincorse impazzite verso ciò che si credeva perso; con questi spaccati di esistenze borderline Bachetti scuote la coscienza del lettore, soprattutto quello meno imbrigliato da una letteratura che deve sì far riflettere, ma senza eccessivi sommovimenti d’animo (perché guai a svegliare l’ipocrisia che c’è dentro tutti noi). Invece il deserto che la nostra vita si trascina è tutto lì, in quei racconti, smascherato nel lamento di chi ha ancora una possibilità, quella di amare. Il merito dell’autore è aver deciso di scrivere senza indugi del sentimento più importante per l’uomo, che può essere percepito solo attraverso la carne e la sua mortificazione. Da ciò nasce inoltre la sensibilità poetica proferita tra un racconto e un altro, quasi a smacchiare quello che di amaro rimane dopo la lettura.

Partiamo dal titolo, “L’unica chiave”. Come mai questa scelta? “Il titolo provvisorio era “Parlami d’amore”. Con Emidio Giovannozzi, responsabile editoriale della casa editrice Lìbrati, abbiamo deciso di cambiarlo in “L’unica chiave”, essendo un libro dove il sentimento è in primo piano, l’amore a prescindere, quello che non ha bisogno di chiedere, incondizionato, che non ha nessuna paura di non essere corrisposto. L’amore viene narrato nelle sue svariate forme e composizioni, le più belle e anche le più sofferte. Comunque rimane la chiave che può aprire tutte le porte, l’unica”.

I suoi personaggi sono disperati, vivono ai margini della società, sbagliano, falliscono, procedono a tentativi. Eppure lei sembra comunicare ai lettori che esiste sempre la scelta risolutrice. Ho l’impressione che si sia ispirato a persone che ha conosciuto realmente. È così? “I miei personaggi sono persone comuni, credo chiunque li conosca, talvolta estremizzati, paiono stanchi dimessi e perdenti, hanno spesso a che fare con droga, alcol e disagi esistenziali, segni profondi dei nostri tempi, ma come citato nella prefazione, si arrestano a pochi metri dal baratro cercando di dare dignità alla loro esistenza, continuando nell’aspro percorso, non rinunciando ad avere il lusso di permettersi dei sogni”.

Tra i suoi racconti ci sono alcuni intermezzi poetici. Sono componimenti funzionali alla narrazione oppure sono poesie che lei aveva già scritto in precedenza? “Oltre a scrivere racconti amo perdermi nelle rime, le poesie presenti erano state scritte in precedenza, in quel momento le ho trovate adatte per intermezzare, così da voler dar vita ad un piccolo esperimento che ha raccolto riscontri positivi da parte dei lettori”.

Il racconto “La piazza” è testimonianza d’amore per la sua città ma anche denuncia nei confronti della trasformazione del centro cittadino. Perché ha scelto di inserire questo racconto nel libro? “Sicuramente parlare di Piazza del Popolo è un omaggio ad essa e la città tutta, ma soprattutto è un balzo indietro nei ricordi, la mia adolescenza, la gioventù, i personaggi che la caratterizzavano, altri tempi. Oggi è trasformata, lo struscio serale non esiste più, ora ci sono le happy hour, assembramenti davanti ai bar, in un certo senso si è spoetizzata, il mondo è cambiato e al di là degli orridi gazebi lei continua a essere incantevole. Nel mio libro doveva esserci perché fa parte di un mio significativo vissuto di cui sono innamorato”.

L’unica chiave è un inno alla vita sebbene la morte sia una componente fondamentale dei racconti. Una vita che ha bisogno dell’amore. Credo che non sia così scontato sostenere che l’amore rimane ancora la via maestra che tutti gli uomini e le donne dovrebbero intraprendere. Cosa l’ha spinta a rivelare attraverso le sue storie le innumerevoli facce di questo sentimento? “La morte è l’unica certezza nella vita, ma prima di arrivare al termine credo ci sia un ribellarsi continuo alle negatività, a volte in maniera del tutto inconscia. Una vita senza amore può esistere? Penso di no, chi non è alla ricerca di esso? Da questo nascono i miei racconti, fatti di persone che non si arrendono; nonostante le innumerevoli difficoltà cui sono sottoposte, nutrono speranze e celano sogni. Il professore e l’uomo in montagna che si spunta la barba in quel freddo giorno di gennaio sono la brace che cova sotto la cenere. Si sentono sconfitti, in realtà non lo sono, forse non hanno la consapevolezza, ma latente in loro esiste un vento buono, una spinta vitale. Il messaggio di questo volume è quello di credere, avere speranza, non mollare mai, non rassegnarsi e se possibile inseguire i sogni; in parole povere non subire la vita, ma aggredirla senza maltrattarla, cercando di esserne i protagonisti. Poi è anche vero non tutte le ciambelle escono col buco, esistono epiloghi dal finale non sempre positivo. I miei racconti non hanno mai una chiusura netta, lasciano sempre uno spiraglio, una sorta di slinding doors, un’altra occasione c’è sempre, basta saperla cogliere. Scrivere L’unica chiave è stato una sorta di gioco e allo stesso tempo una sfida, dimostrare a me stesso di essere capace di creare e trasformare una passione in qualcosa di tangibile come può essere un libro. Sorpreso dai riscontri positivi, nel piccolo sta regalandomi delle belle soddisfazioni. Anche se si trova solamente alla libreria Rinascita di Ascoli Piceno, posso definire più che soddisfacente il numero delle copie vendute”.