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SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Uno zoom sulle risorse ittiche dell’Adriatico per comprendere lo stato attuale della situazione e le possibili prospettive da attuare avviando buone pratiche di sviluppo. Questo quanto realizzato da Nazzareno Torquati nella sua relazione, o meglio lettura statistica della pesca italiana e del Gruppo d’Azione Costiera che rileva un mare povero di pesce. “Anni di super sfruttamento delle risorse ittiche hanno causato dei gravissimi gap riproduttivi in tutte le specie autoctone” che stando alle statistiche di Ocean 2012, un’organizzazione che si batte per la riforma del mercato e delle politiche ittiche europee, la quota di pescato sarebbe già esaurita. Intuizioni che troverebbero conferma nell’andamento del consumo del pescato che si aggira alla quantità consumata nel 1999 di cui il 37% oggi viene importato.

“Bisogna chiedersi come mai dopo dieci Piani triennali per la pesca, ventisei fermi biologici ed oltre 4 miliardi di euro spesi in questo settore negli ultimi venticinque anni ci ritroviamo con il dimezzamento della flotta, il dimezzamento degli equipaggi, il dimezzamento del pescato e il raddoppio della dipendenza dall’esterno con un bilanci negativa di oltre tre miliardi di euro annui, con il mondo della ricerca fermo e ignorato“. Una considerazione che fotografa la realtà locale che da anni chiede un politica di sostenibilità della risorsa e di condivisione con i Paesi frontalieri, ma anche d’intesa con le Amministrazioni locali e delle Regioni, filo diretto con il Governo Centrale.

Secondo quanto emerso dalla relazione di Torquati condivisa dall’assessore alle Attività produttive Fabio Urbinati, bisognerebbe procedere su tre direttrici strategiche che comprendano il finanziamento delle ricerche sulle risorse disponibili, sulle tecnologie e attrezzature impiegate nonché sulla formazione professionale degli ingaggiati e, infine sulla creazione di una Governance del settore per la programmazione, l’integrazione, l’armonizzazione, la sostenibilità e la vigilanza delle politiche della pesca. “Solo trasformando il Mare Adriatico e il Mediterraneo tutto in un grande bacino di maricoltura naturale, dove le specie ittiche vengono accompagnate nella loro crescita e catturate per fini commerciali ad una dimensione adulta che non vada a pregiudicare la loro capacità di riproduzione, si possono ottenere le condizioni per la creazione di ricchezza e di sbocco professionale qualificato e qualificante per le nuove generazioni”, si legge a conclusione della relazione.

“Nel corso di dieci anni si potrebbe raggiungere una produzione ittica atta a creare le condizioni di sviluppo economico e professionale con la creazione possibile di centomila nuovi posti di lavoro tra pescatori diretti e indotto della nostra area e un’armonia e unità di intenti con i Paesi frontalieri tramite la definizione di una macro area di pesca regolamentata per zone e per sforzo di pesca”. Ci sarebbe bisogno, insomma, di un’Agenda Strategica e da parte dell’Unione Europea il progredire di iniziative che inneschino dinamiche sociali favorevoli propense all’innovazione e al progresso. La Macroregione adriatico-ionica e il percorso di Guido Milana potrebbero rappresentarne un esempio.