Premessa doverosa: chi scrive adora lo stile di Giovanni Di Iacovo. Qualunque esso sia. Pulp, visionario, dissacratorio, cinico, a volte perfino crudele di una crudeltà che si ciba del mondo. Dopo “Tutti i poveri devono morire“, arriva “La sindrome dell’ira di Dio” e di nuovo piombiamo nell’universo immaginifico dell’autore, fatto di freak, prostitute, uomini dagli occhi viola, nani e transgender. Ma che non si pensi a nulla di scandaloso, lo scandalo qui è la nostra società. La diversità non esiste, la bruttezza è bandita, i sentimenti vincono. Perché in fondo Di Iacovo è un tenero…
Un po’ di trama: Liebe è un’escort anarchica che accetta tra i suoi clienti solo perdenti, freak e borderline. Bellissima, ma senza l’occhio sinistro, scomparso in un rapimento di cui non ricorda niente. Lei riceve lettere d’amore da uno sconosciuto che sembra sapere molte cose su quanto le è accaduto. Le vicende la porteranno dalle magiche ritualità di Haiti al lato più oscuro del burlesque di Londra, da una micronazione di supremazisti bianchi a una nave che solca i mari per sfuggire alle leggi e in cui si copula per accumulare l’Orgone, l’energia sessuale che si pensa possa guarire il mondo dal suo odio. Liebe comprenderà come nulla le sia mai accaduto per caso.
La prima domanda è d’obbligo e perdona la franchezza ma… come ti vengono?? “Mia cara, io non c’entro nulla… ci sono delle cose che vogliono farsi raccontare loro, che ti ci imbatti in giro, nei posti piu’ incredibili oppure sotto casa e ti fanno paura oppure ti fanno incazzare, oppure ti intrigano o tutte queste cose insieme e tu le incontri così, in giro per la vita, che pare che aspettino solo di essere raccontate. Solo che, per riuscire a vederle davvero, devi essere armato di curiosità, di umiltà, di voglia di profondità e della nuda sete di ciò che è altro-da-te. Altrimenti puoi girare una vita ma finirai per incontrare sempre e solo il tuo ombelico”.
La Sindrome dell’Ira di Dio ha nell’anima la diversità. Dacci la tua definizione… “Esattamente quella che tu ne hai dato: il cuore di questo romanzo è la bellezza nelle diversità, nelle differenze, nei difetti, anche radicali“.
Sembra che la diversità sia la maniera in cui i tuoi personaggi si ricongiungono con i sentimenti umani, il dolore, l’amore, la paura. Che ne siano capaci soltanto i ‘diversi’ oggi? “I miei personaggi “diversi” interpretano semplicemente coloro che sono messi nei coni d’ombra della società di oggi, marginalizzati, esclusi dal palcoscenico scintillante delle società, ma che magari se la passano benissimo senza bisogno di mastoplatiche additive o di titoli improvvisati che conferiscano identità”.
Descrivendo la Repubblica Democratica di Victor dici: “un ultimo approdo delle meraviglie umane, ma anche un riparo per tutti coloro cui la luce della società diurna brucia gli occhi, brucia la dignità, fa male”. La domanda, anche in questo caso è d’obbligo, una società che ghettizza il diverso – secondo l’interpretazione che di diverso abbiamo dato fin qui – che futuro ha? “Non esiste un concetto oggettivo di normalità, quindi chiunque conduca battaglie in nome di tale fumettesca ideologia è destinato ad essere sconfitto dalla storia. In natura, solo gli organismi capaci di diversificarsi hanno chance di sopravvivere ed evolversi. Le mescolanze di sangue e di idee costruiscono i cittadini del mondo che verrà”.
Ancora: “tutta colpa di un sistema-mondo in cui la gente esamina la propria vita solo in termini di potenzialità televisive”. Anche in questo romanzo, come nel precedente, la critica è feroce eppure molto raffinata. Nella Repubblica non esiste bruttezza, nel nostro mondo la distinzione estetica è l’assioma di fondo. O sbaglio? “Purtroppo si. La bellezza è un valore ed un concetto ampio ed importante che però oggi si banalizza e riduce al semplice numero di taglie di reggiseno”.
A questo punto ti chiedo: la scrittura è il tuo metodo per sopravvivere e superare questa società? Il gap tra la realtà immaginata e quella vissuta si concilia in pagina? “Nello scrivere romanzi mi auspico innanzitutto che chi li legge faccia buon viaggio nelle mie storie, che si trovi in buona compagnia con i miei personaggi, che passi piccole piacevole ore nei miei mondi. Da circa quindi anni a questa parte scrivo ogni giorno, almeno tre ore al giorno, erodendo altre attività, specie, ahimè, quelle redditizie. Per sopravvivere. Effettivamente, la mia vita è immensamente migliorata da quando la vivo insieme ai miei personaggi. Mi aiuta a lavorare e vivere vicino ai veri mostri, quelli della vita quotidiana, e a fronteggiarli senza mai diventare come loro“.
Per ogni capitolo consigli una canzone. Perché? “Ciò che scrivo è frutto sia di mie esperienze personali, gli anni vissuti a Tokyo, Berlino e Londra, sia di tutto l’humus culturale di cui mi sono nutrito, film, serial, libri, fumetti e, naturalmente, musica. Associo ogni capitolo ad un brano musicale perché trovo che esso abbia delle consonanze di contenuto, estetiche e sia generatore di immaginario in sintonia con le storie che racconto”.