“Mi ricci. L’amore ai tempi del T9” è un libretto snello, pseudo-adolescenziale che, però, fa riflettere anche i più grandi su una questione che smuove da dentro i nostalgici. Insomma, quella di Alessandro Baronciani, è un’intuizione che fa leva sull’annosa domanda: ma dove sono finite le vecchie, romantiche, lettere d’amore? Come si può parlare di sentimenti con un sms, su whatsapp o sulla chat di Facebook? Tutti strumenti che non solo hanno trasformato la maniera in cui se ne parla dell’amore, ma anche il modo in cui lo si vive. Ne abbiamo parlato con l’autore, illustratore per le più importanti case editrici italiane e alla sua prima prova da scrittore.
Come nasce l’idea di questo libro? “L’idea è nata esattamente dall’errore di Stefano. Volevo scrivere un sms e il mio cellulare ha corretto automaticamente “mi piaci” in “mi ricci”! Ci sono tantissimi errori con il correttore automatico. Alcuni molto divertenti. Da qui scriverci un libro è stata la cosa più difficile. io ho sempre avuto 4 in italiano e soprattutto nei temi. Era automatico: andavo sempre fuori tema. Avevo inventato la terza colonna della brutta copia. era la versione due volte cambiata dalla prima stesura del compito in classe. Per non parlare della mia scrittura, facevo fatica a decifrarla pure io. Quindi scrivevo ordinato, ma facevo più fatica e andavo più lentamente e i pensieri si incasinavano continuamente. correggevo continuamente senza la possibilità di fare command+z con la penna. Ho ripreso a scrivere, con gli sms, come alle elementari con i pensierini. l’accento, le virgole, i punti, tutte cose indispensabili per far capire alla persona dall’altra parte quello che veramente vuoi dirgli. Non puoi mica fare brutta figura soprattutto se dall’altra parte c’è una ragazza con cui vuoi uscire stasera.
L’amore ai tempi degli sms, di whatsapp, di Facebook. Quanto resta dell’amore e cosa è cambiato? “Spero non sia cambiato niente, anche se ieri ero al mare e ho visto un gruppo di adolescenti in silenzio a sedere su un tavolo con il cellulare in mano. E questo non è proprio un male, le spiaggie sono molto più tranquille adesso e sono riuscito a dormire per quasi un ora. Probabilmente ha cambiato il modo di gestire una relazione, anche se, sembra diventato un problema che una possibilità in più. Avere il numero di telefono di una ragazza che ti piaceva per la mia generazione era una grande occasione da non sprecare con un messaggio sconclusionato. Chat, messaggi, social network hanno spezzettato e creato nuove piccole barriere da scavalcare. Rischi di meno, ma forse – un po’ di positivismo alla Negroponte – ti avvicini di più alla persona che ti piace veramente. Alle volte mi viene da pensare a come sarebbe stata differente la rivoluzione tecnologica se invece di farla i timidi nerds che lavoravano dentro i garage della California l’avessero fatta quelli che stavano tutto il giorno a fare surf sulla spiaggia.
Meglio le vecchie lettere d’amore o la comunicazione di oggi? “Puoi mandare tutti i messaggi e le email che vuoi, niente batte la vecchia lettera dentro la cassetta postale. Ho iniziato spedendo i miei fumetti per posta. Avevo inventato una specie di abbonamento dove tu pagavi in anticipo e io quando finivo le mie storie a fumetti te le spedivo a casa. Avevo una mappa dell’Italia con segnate tutti i posti dove erano arrivati i miei libretti. Un po’ alla volta molti lettori hanno cominciato a scrivermi le loro storie che sono diventate in parte la mia storia a fumetti. Con molti di loro è nata una vera e propria amicizia. Ho trovato il mio editore in questa modo”.
Questo è il tuo primo libro vero e proprio, com’è andato l’esordio in letteratura? “Molto bene! Per uno che ha capito la differenza tra la é e la è soltanto ieri molto bene! Ha avuto molto risalto e ha vinto dei premi ma la cosa che mi è piaciuta di più sono stati gli incontri. Sono stato invitato molte volte a parlare del libro con i ragazzi soprattutto per il finale del libro che è una specie di incubo per gli adolescenti. Ho pronta una nuova storia che voglio buttare giù per scritto appena possibile”.
In genere lavori con le immagini più che con le parole. Cosa cambia, a livello non solo del metodo, ma anche per te? “L’importante è mettere poche descrizioni, non mi piacciono. Scrivere è divertente mi è capitato più volte di mettermi a ridere mentre scrivevo quello che capitava a uno dei protagonisti della storia. I disegni sono le vere descrizioni. sono l’ambientazione della storia. Mi ricci è sia disegnato che illustrato da me e soprattutto ha questa cosa delle carte colorate che definiscono i personaggi quando stanno pensando. Scrivere i pensieri è stata la cosa più divertente del libro perchè un avvenimento che poteva sembrare una scocciatura per uno dei protagonisti diventava per un altro un piccolo attimo di felicità”.