In “Tutti i poveri devono morire” la povertà è un problema di igiene sociale. Il Cenacolo degli Assassini è una setta in cui si uccide chi ha un reddito inferiore ai membri. Ogni male di questo secolo viene trasformato in paradosso sociale e letterario. Agenzie interinali che nascondono sale di tortura, banche che sono incubatrici di future famiglie suicide. Giovanni Di Iacovo è un visionario pescarese, capace di scrivere un romanzo agghiacciante, ma anche pulp, brillante, pungente e convincente come pochi sanno fare.
Cominciamo da te: qual è la tua formazione e da cosa vieni ispirato per i tuoi romanzi? “La mia formazione culturale è avvenuta tra l’enorme biblioteca che mio padre mi lasciò alla sua morte e una vita un piuttosto on the road, nelle scene più borderline di Londra, Berlino e Tokyo. Una formazione un po’ punk e un po’ secchiona. La musica e le esperienze radicali hanno una componente fortissima nella mia ispirazione, così come la hanno avuta le mille letture di romanzi americani, inglesi, russi”.
La letteratura nel secolo dell’utile. Che funzione può avere oggi uno scrittore? Ma poi… ma esistono ancora gli scrittori? “Belle domande! La funzione di uno scrittore è per me quella di costruire realtà e vita attraverso gli strumenti artigianali del mestiere dello scrivere, affinando questi strumenti, innovandoli, padroneggiandoli, per condurre il lettore oltre se stesso, oltre il suo quotidiano. Gli scrittori sono coloro che scrivono con continuità, che vivono con la piacevole ansia di dover tornare a casa per potersi immergere nelle vite dei loro personaggi e farle evolvere, sono coloro che vivono la vita il doppio, una volta in prima persona e una seconda volta trasfigurando ciò che vivono in componenti di quello che scrivono.
Agenzie interinali che nascondono stanze di tortura, nobildonne che cacciano precari come fossero volpi, bancari che spingono intere famiglie al suicidio dopo averle messe sul lastrico. Un quadro apocalittico che si mantiene in equilibrio sul paradosso. Eppure il reale è dietro l’angolo: Berlusconi, disoccupazione giovanile, Beppe Grillo, governo tecnico… “Certo, i miei romanzi partono da ciò che mi inquieta nel presente e che immagino cresca e si sviluppi ancor più negativamente. Per esorcizzarlo ma anche per capirne meglio la natura. Il romanzo scritto l’anno scorso annuncia minaccie che ora sono già in piena realizzazione”.
Ancora, oltre alla scrittura pungente, coerente, ironica e assolutamente brillante, quello che lascia davvero disarmati in questo romanzo sono i personaggi. Cominciamo dal Cenacolo di Caino. Come hai costruito questa casta di assassini? “Ispirandomi ai principi di una setta di assassini gia esistente e operante in Oriente alcuni secoli fa ed aggiornandola. Non uccidono più per ritualità, e neanche per noia, ma per eliminare la povertà dal mondo tagliando la testa al toro: eliminando direttamente tutti i poveri…
Continuiamo con Judy, svampita mogliettina di uno degli assassini, completamente dissociata che per comprendere cosa le accade attorno ha bisogno di una specie di siero allucinogeno che la rende, magicamente, intelligente. Insomma, il raziocinio non è la regola, piuttosto qualcosa che va iniettato, stimolato. Una lettura dissacratoria degli uomini e delle donne di oggi? “Esattamente. E mi baso sul principio che alla fine, chi non capisce niente soffre anche di meno, è più felice, vive più serenamente. Li invidio”.
La storia di Hellen, schizzata innamorata del muro di Berlino. Per lui arriva addirittura a uccidere. Ebbene… quanto dipendiamo dalle cose? Quanto ne siamo assuefatti, innamorati? Quanto le file all’alba per l’ultimo modello dell’iPhone assomigliano alla nostra Hellen? “Le cose rappresentano spesso quella passività che uno cerca da colleghi e partner. Amare le cose è più semplice. Tutti vogliamo la semplicità.
La povertà in questo romanzo è un problema di igiene sociale e la vita umana non è che una merce anch’essa. Questo mondo, nella tua visione di scrittore, di cosa soffre allora? È un egocentrico malato d’apparenza, è un meccanismo interruptus privo di buon senso? Quali sono i nostri mali? “Dei mille mali che esistono, in questo libro tratto del rifiutare di affrontare la complessità dei fenomeni (troppi poveri? Ammazziamoli), dell’odioso rifugiarsi nella preconfezionata banalità, una diffusa pigrizia mentale che fa sprofondare nell’anestesia più assoluta. Io toglierei il diritto di voto a chi ha un quoziente intellettivo troppo inferore alla media. Bisogna evolversi verso una sala e luminosa cultura della complessità.
La scrittura pulp e il paradosso usati per descrivere una società che ha davvero poco di dignitoso. Temo che il tuo prossimo romanzo non contempli la redenzione… “No, infatti. Il mio prossimo romanzo “La Sindrome dell’Ira di Dio” racconterà della bellezza non-convenzionale, ma forse anche di qualche rivincita degli ultimi”.