Abbiamo intervistato Giuseppe Palumbo in occasione dell’uscita dell’albo di Diabolik – I segreti di Morben (a. LII, n.3), con cui nel mese di marzo la Casa Editrice Astorina ha deciso di festeggiare degnamente il cinquantenario della prima apparizione di Eva Kant, affidando, eccezionalmente per un numero della serie regolare, parte del racconto e la copertina al suo inconfondibile tratto.
È impossibile dare conto in poche righe dell’inesauribile attività dell’autore, che da trent’anni a questa parte – come fumettista, come editor, o anche come collaboratore di fanzine – partecipa attivamente a ogni sorta di iniziativa riconducibile al fumetto e più in generale al mondo dell’editoria, con pubblicazioni su quotidiani, riviste, serie popolari e graphic novel (oltre che in Italia, anche in Francia, Giappone, Grecia e Spagna), e produzioni nel campo dell’illustrazione, della pubblicità e della comunicazione multimediale. Il suo character più noto è Ramarro, caricatura in forma di estremizzazione radicale del fumetto americano pop.
Ma iniziamo con le domande!
Di fronte a una scelta obbligata: Matera (dove è nato) o Bologna (dove vive)? “Venezia. Dove mi piacerebbe vivere, ma che resta solo un desiderio. Matera è il luogo della mia storia; Bologna è il mio presente e il mio passato più recente, ma legato per lo più alla sfera lavorativa. Forse sceglierei New York alla fine… o Urbino…non so”.
Quali sogni aveva a 13 anni? “Scrivevo fantascienza e volevo fare l’archeologo. E disegnavo. Se erano sogni questi, non lo sono stati per molto. Disegno fantascienza da quando ho cominciato a pubblicare nel 1986… E l’archeologia, l’avrei studiata e basta. Ma è entrata nelle mie storie e nel mio metodo creativo. Ogni mia creazione è uno scavo stratigrafico”.
La sua casa brucia: cosa salva? “La pelle. Mia moglie. La mia cagnetta Mimì. Senza un ordine preciso”.
Insegnamenti tratti dai suoi personaggi, in particolare da Ramarro? “A non mollare. Dietro l’angolo sta già arrivando un nuovo treno-merci pronto a pettinarti la riga al centro. Sai come sono fatti i masochisti, no? Non mollano”.
Mai commesso illegalità nel nome del sapere? “Molte storie che ho scritto e disegnato lo sono. Basti pensare a Tosca la Mosca e Ramarro. Altro non lo ricordo e non potrete usarlo contro di me”.
All’inferno la obbligano a leggere sempre un solo libro di fumetti: quale? E a disegnare che? “L’inferno è senza fumetti. Fumo sì, ma niente arrosto”.
Ha la matita assoluta per un giorno: la prima vignetta o il primo disegno che realizza? “Potrei tracciare un segno, con il segreto intento di cambiare la testa dei lettori italiani, troppo abituati a leggere i fumetti fino alla pubertà o solo al cesso o in treno, oppure la testa dei ragazzi troppo abituati a vedere tv o giocare ai videogiochi soltanto per perdere tempo a leggere fumetti… Ma mentre sto tracciando quel segno”…
Laddove, nel curriculum, ci si aspetterebbero Liceo Artistico e Accademia delle Belle Arti, lei tira fuori dal cilindro Liceo Classico e laurea in Archeologia. Qual è, in base alla sua esperienza, il filo rosso che unisce studi classici e storie a fumetti? “Il filo rosso sono io stesso. Ogni autore porta dentro i suoi lavori, la propria formazione, la propria individualità. Io ho avuto questo strano percorso, dovuto forse alla mia famiglia, alla mia città, alla mia storia insomma. Il tutto tenuto insieme da una idea: che il fumetto possa essere non solo una lettura di puro entertainment, ma che possa essere una lettura fondante. Molti fumetti per me lo sono stati: quelli di Magnus, quelli di Moebius, quelli di Breccia, quelli dei ragazzi di Cannibale“…
E… Per il seguito tornate qui tra qualche giorno!!
(In collaborazione con l’Associazione Culturale Dimensione Fumetto di Ascoli Piceno)
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