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Idolo Hoxhvogli ghermisce la maschera convenzionale dell’uomo e si inoltra in una potente narrazione allegorica del mondo specioso in cui viviamo, colmo di ridondanze di varia natura: comunicative, sessuali, sociali, politiche, religiose. “Introduzione al mondo” (Scepsi & Mattana editori) è un libro scabro, una ingiunzione a riflettere sul mondo che ci circonda e di cui tutti noi – purtroppo – siamo dei piccoli ingegneri. La denuncia di cui si fa portatore lo scrittore di origine albanese, trapiantato a Porto S. Giorgio, procede attraverso tre blocchi concettuali su cui si estrinseca la critica alla società odierna; nella “Città dell’allegria” di bongiorniana memoria si ritrovano i meccanismi politico-comunicativi degli ultimi venti anni, che hanno avuto il demerito di amplificare attraverso “altoparlanti” il pensiero unico e imposto dalla tv, talmente pervasivo da aver contagiato anche le istituzioni pubbliche.

In questo contesto malsano, i cui frutti sono ora evidenti vista l’attualità politica, si inseriscono rimandi autobiografici suggestivi in cui il mare è visto come metafora di vita e conflitto tra gli uomini, oltre a rappresentare il veicolo primigenio della condizione di migrante/straniero a cui appartiene l’autore. La città dell’allegria è l’abbrivio propulsivo che sfocia nella critica al marketing letterario della seconda parte del libro , “Civiltà della conversazione”. Mordace e purtroppo fin troppo veritiera la rappresentazione del romanzo contemporaneo, “è un gran romanzo, talmente grande da pesare due chilogrammi, così leggero da non pesare in testa con strane riflessioni. È un po’ radical, un po’ chic, a volte radical-chic” scrive l’autore, continuando poi a produrre una serie di conversazioni che ripropongono drammi del reale, situazione aneddotiche e fulminee che stravolgono il lettore, tanta è la potenza delle immagini e delle parole utilizzate.

Più ci si inoltra nella lettura e più i racconti brevi e allegorici assumono una forma esiziale, che si fa carne viva quando le metafore sessuali non lasciano spazio a nessuna speranza sul futuro di questo mondo. L’introduzione del titolo sembra essere superata, le contraddizioni e i vizi umani sono stati messi a nudo e scarnificati con stupefacente capacità di analisi. Nell’ultima parte “Fiaba per adulti”, il tono si fa sommesso, immagini che attingono al repertorio fiabesco prendono il posto della violenza, conducendo infine il lettore ad un finale inaspettato e sconvolgente.

Inizierei dal titolo, Introduzione al mondo. Nel tuo libro non c’è solo un’introduzione, un mettere il piede al di là del limine del mondo; penso che sia l’immersione totale e raminga nelle maglie che legano l’uomo al mondo che lui stesso costruisce. Lo descrivi confusionario, a tratti spietato, l’uomo ha una convivenza forzata col mondo. Una nuova palingenesi sarà mai possibile tra i due? O siamo condannati a rinnovare ogni giorno una società che ci consuma lentamente, facendo uscire solo la parte peggiore di noi? “Catastrofiche apocalissi e felici rivoluzioni sono due maschere balenghe della storia delusa. L’esistenza estrema è depressione od orgia. Tutto il resto galleggia tra questi due stati. Tirare a campare è la saggezza dell’impotenza radicale. La parte migliore di noi finisce inchiodata su un pezzo di legno: questa è la lezione del legno. Accettare il mondo o superarlo per redimerlo significa essere demoni o angeli. L’uomo può essere un povero diavolo o un angelo con le ali strappate. Non parlerei di una parte peggiore di noi, parlerei della parte peggiore della bestia: è la seconda a tracimare regolarmente”.

Affronti diversi temi nel libro attraverso una lucida analisi del contemporaneo. Credo che la denuncia al sistema mediatico e culturale sia centrale nella tua riflessione. Il grande moloc che si è creato in Italia attraverso un certo tipo di informazione e sistema culturale sembra non regredire. Anzi, siamo tutti innamorati del mostro. Chi sfugge dal pensiero unico non dispone dell’altoparlante, di cui parli nella prima parte del libro, per far sentire la propria voce. Come si fa a uscire da una condizione di alienazione? Cosa dovrebbe fare concretamente uno scrittore libero per gridare agli altri che questo sistema deve cambiare? “Alienare significa trasferire ad altri la titolarità di un diritto, cedere un potere: siamo titolari della nostra vita? L’alienazione è uno stato patologico della mente: siamo esenti da patologie? Alienato è l’uomo asservito che ripone la propria vita in ciò che lo opprime: siamo volontariamente oppressi? Innamorati del mostro: espressione meravigliosa ma eccessivamente romantica, parlerei di accoppiamento quotidiano con il mostro. Lo scrittore potrebbe suicidarsi per mostrare che c’è qualcosa di più grande rispetto a un’esistenza strutturalmente suina. Lo scrittore potrebbe anche vivere, per far emergere, attraverso la scrittura, la bellezza dal mondo. Lo scrittore potrebbe scrivere giusto per passare il tempo e dare qualche spicciolo alla boccheggiante industria editoriale. Il sistema non cambia se non cambiamo noi, ma chi cambia in solitudine è destinato forse a morire”.

Dal tuo libro emerge che l’uomo ha un’identità plurima, è «io-noi-l’altro» e tra di loro esiste un legame di invidia sociale per cui il povero vuole somigliare al ricco fino a compiere nefandezze pur di emularlo. In questo contesto si ritrova anche la condizione di migrante, a cui anche tu appartieni. Qual è il valore aggiunto che uno straniero può portare nella denuncia di un sistema corrotto e in declino? Che riflessione faresti sulla condizione degli immigrati nel nostro Paese? “Se il povero vuole diventare ricco, allora il povero è spiritualmente uguale al ricco. Se il povero vuole la dignità, allora ha diritto al rovesciamento. Probabilmente non appartengo nemmeno a me stesso, dunque neppure al concetto di migrante. Mi basterebbe appartenermi. Il valore aggiunto dello straniero? La dialettica perfezionante attraverso l’altro da sé. La condizione dei migranti? Sognare un futuro migliore del passato che hanno vissuto. Gli infelici possono cambiare il mondo, alle persone felici il mondo sta bene così com’è.

La vita ci stupra, ci taglia, ci spezza, ci disperde. La tua è una visione tutt’altro che ottimistica. Cosa c’è da salvare nelle nostre esistenze? “Possiamo salvare l’amore e il godimento. Amare e godere sono modi interessanti per trascorrere il tempo. Dunque: amate e godete senza esitazioni”.

Nel libro sono inserite tre riscritture di testi di Kafka, Eluard e Benjamin. Perché hai deciso di riproporli? “A mio parere la questione non è perché abbia inserito tre riscritture, tre rielaborazioni di prose di Kafka, Eluard e Benjamin. La questione è ancora più radicale: perché non ho inserito una vera e propria citazione di Antonio Delfini: “Questo autore ignoto che vi si presenta è quasi certamente un imbecille. Però voi non ne siete sicuri. Prendetevi la soddisfazione di dare dell’imbecille a uno sconosciuto con documenti alla mano. Acquistate le mie pubblicazioni”.