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La catastrofe nucleare di Chernobyl si abbatte come una scure sulle crepe istituzionali dell’Unione Sovietica. In un mondo che sta per finire, un altro sta fremendo per prendere il suo posto. È in questo passaggio epocale che si incontrano i genitori di Yuri, il ragazzo italo-bielorusso che si troverà fin da piccolo davanti a sfide più grandi di lui, sorretto dalla forza morale della sua famiglia, in particolare del nonno Franco, il personaggio più ancorato al secolo scorso ma con uno sguardo critico e moderno sui tempi futuri. Yuri e suo cugino Mirco, entrambi giovani campioni di scherma, non mancheranno di ricercare, nell’ingenuità dei loro anni, risposte ad accadimenti incomprensibili, riconsiderando le loro strade e divergendo nelle scelte di vita. Insieme, all’ultima olimpiade di Londra, suggelleranno il loro legame proiettandosi in un futuro immaginifico, a tratti fiabesco, dove c’è ancora spazio per la speranza, ma soprattutto, per la vita.
Chernobylondon. Autore: Piero Paniccia. Edizioni Del Faro.

In questo libro riesce a intrecciare molte tematiche apparentemente diverse. La famiglia, l’amicizia, la malattia, lo sport, le questioni internazionali. Sembra quasi che lei abbia voluto testimoniare qualcosa che conosce. Ho intuito bene? Sì, soprattutto far conoscere la Bielorussia della gente semplice che lavora e vive con poco ma che è sempre molto dignitosa ed ospitale, pur in una condizione sociale e politica molto difficile e problematica.

La scherma e la catastrofe di Chernobyl sono le due direttrici su cui ha elaborato il suo racconto. Il bene e il male. Potrei anche stigmatizzare questa dualità, sostenendo che sono le due facce di una stessa medaglia. Invece credo che non sia solo questo. Ho percepito nel suo libro la volontà di comunicare una sorta di fatalismo a cui non possiamo opporci, se non seguendo il nostro cuore e le nostre passioni. Un inno alla vita anche se portatrice di immensi dolori. È così? Non ho mai pensato a una dualità tra scherma (bene) e Chernobyl (male). Non è tanto la scherma, che pure fa trovare i due protagonisti principali l’uno di fronte all’altro sotto bandiere diverse, ad essere la bilancia del bene e del male. Semmai sono le riflessioni fatte da uno dei protagonisti (Yuri) e da nonno Franco, che non si capacitano per la loro felicità e per la stessa esistenza Yuri che, secondo loro, sono diretta conseguenza della catastrofe. Questi sono dubbi da far impazzire. Poi, però, per bilanciare questa felicità, l’autore cerca di rendere infelice uno dei protagonisti “togliendogli” la cosa più amata, Felicia . Da questo dolore il protagonista prende la forza per vincere il male. In questo senso l’inno alla vita, carico di dolore, è anche un inno all’amore.

Ho trovato molto delicato e toccante il capitolo “Lu gattu morgiu”, il racconto di un nonno che parla, a sua volta, del proprio nonno ai nipoti. Ho pensato: nonno Franco è Piero Paniccia! A parte gli scherzi, si rivede in questa figura? Certo, in qualche modo è proprio così. Ma non tanto per questo capitolo che è inventato di sana pianta. In realtà “Lu gattu morgiu” in origine era una mia novella breve che avevo scritto trenta anni fa. Mi piaceva inserirla in questo contesto e ho adattato il testo originario allo scopo. Comunque sono particolarmente contento per le sue considerazioni su questo capitolo. Il rapporto tra nonni e nipoti era un altro argomento che mi premeva evidenziare. Con questo capitolo, me ne sono reso conto da solo, credo di aver trasmesso delle belle sensazioni. Dopo averle scritte e rilette tante volte, ancora oggi, provo sempre una grande emozione.

Veniamo a Chernobyl e alla Bielorussia. Lei dedica molte pagine alla descrizione scrupolosa di questo Paese e alla elaborazione di ciò che esattamente è accaduto nella centrale atomica ucraina. Cosa l’ha spinta a far luce su queste realtà fino a scriverne un romanzo? Nel mio raccontare questo evento mi sono attenuto alla cronaca dell’epoca. Ho aggiunto cose poco note in occidente grazie ad alcuni testi consultati. Tra questi mi piace ricordare “Il ciclista di Cernobyl”, dello scrittore spagnolo Javier Sebastian.
Quello che mi preme, però, è tenere sempre vivo nella mente di ognuno di noi l’incidente di Chernobyl perché non si dimentichi cosa è un disastro nucleare. Troppo spesso dimentichiamo i danni che può causare un incidente nucleare a tutta l’umanità.

La scherma. La passione che lega i due cugini Yuri e Mirco. Questo sport è da considerarsi una metafora e parabola della vita? Prima o poi tutti noi ci troveremo davanti alla persona a cui dover dare la “stoccata” finale, fosse anche una stoccata d’amore? In questo caso si tratta più di un gioco di squadra …una volta presa coscienza. Se vogliamo, l’amore è solo il premio finale. L’amore per la vita e l’amore per il prossimo. In questo caso, potremmo dire che la stoccata finale sarebbe una stoccata simultanea… anche se nel regolamento del fioretto (sarebbe nulla) non è contemplata.

Le sue ultime pagine confermano la speranza profusa nel suo racconto. Lei va oltre i fatti; dalle Olimpiadi appena trascorse, racconta quello che sarà con un accento immaginifico. Perché ha voluto scrivere un finale proiettato nel futuro? Non volevo un finale “chiuso” ma un finale ottimistico senza essere banale. Per cui ho deciso di portare la mia speranza ad un futuro lontano difficilmente contestabile… per ora. Il “mio” futuro da fantapolitica vuole essere un messaggio di pace, auspicando anche un mondo senza nucleare.