Classe 1988, custode della tradizione. Francesco Casagrande è conosciuto in tutta la riviera per la sua profonda attenzione alla tradizione e alla proficua collaborazione con la Ribalta Picena, il Circolo dei Sambenedettesi e il museo della Civiltà Marinara. Abile performer dialettale lo avremo certamente incontrato per le vie del vecchio incasato durante la rassegna in vernacolo Natala al Borgo e riconosciuto come interprete nelle più varie manifestazioni culturali.
Tra i più giovani attori di Natale al Borgo, quando è iniziato il tuo percorso nel passato sambenedettese? Mi definirei ormai un assiduo membro di questa così autentica manifestazione che mi ha visto presente e partecipe per ben dodici anni. Oltre all’introductio al passato più remoto della città grazie alla collaborazione con le varie associazioni rivierasche, sono avvezzo a cogliere l’inviolabile fede nel e per il mare, fondandone una consapevolezza nella commistione di rapporti sociali, economici e culturali. È proprio questo che mi lega al passato; quel nugolo di credenze e usanze sono vestigia erette a compimento del presente, da cui non potremmo esentare la nostra attenzione.
Conosciuto per la profonda conoscenza della nostra storia, hai deciso di intraprendere un percorso di studio universitario ad hoc. Quanto è importante la formazione per una maggiore consapevolezza del sé e della realtà in cui si vive? Credo sia un’enorme priorità da perseguire, consente un’ottima unità di intenti e relazioni instauratesi nel contesto in cui viviamo. “La storia siamo noi” mi verrebbe da dire e nella sua accezione più profonda si annidano l’identità condivisa, l’assenza di discriminazioni e la parità di diritti.
Quali sono le associazioni e le realtà rivierasche che custodiscono le radici della nostro città? Che ruolo ha la tradizione nella nostra realtà territoriale? Ha in sé una forte connotazione in quella che possiamo nominare “cultura materiale”. Territorialmente si è pervasi dalla tradizione ed è un bene fruirne senza lasciarsi disinibire dall’essenza popolare a cui fa seguito. Ogni popolo sedimenta saperi e valori che invita a perpetuare; volerli mantenere vivi nella memoria collettiva è un atto di presente responsabilità.
Ti pongo la stessa domanda che ho rivolto a Chiara Cesari: in un periodo in cui abbiamo difficoltà a guadare al domani, quanto tengono i giovani al nostro passato? Molti giovani tendono a circoscrivere il passato in uno scrigno di sogni nostalgici e retrodatati; giace in loro un preconcetto di natura semantica, quello dei “tempi andati” forieri di analogie, conflittualità, allusioni ed illusioni. Mi rammarica personalmente l’assistere allo smodato tecnicismo che imperversa, senza gettare le basi ad un nuovo Umanesimo collettivo. I giovani devono credere nel passato e battersi con coraggio, perché il tempo non cancella piuttosto acuisce i colpi bassi inferti alla nostra civiltà.