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Premessa doverosa: la stima profonda – da parte di chi scrive – per la carriera, il talento, la maestria del regista di “Buongiorno Notte”, “L’ora di religione”, “Vincere”, “Il regista di matrimoni”. Solo per citare qualche opera (laddove il termine ‘opera’ non è casuale) di Marco Bellocchio. Eppure stavolta non basta. “Bella addormentata” è un film sospeso. Incompiuto. Tratteggiato. Un messaggio che non rapisce. Un dilemma che resta senza risposta. Sullo sfondo il dramma di Eluana Englaro filtrato attraverso le vicende di Maria, giovane attivista religiosa in preda a preghiere e amore, il risveglio di coscienza del senatore Uliano Beffardi, l’ostinazione del medico interpretato da Piergiorgio Bellocchio e la devozione della santa – ma non troppo – Isabelle Huppert. Storie che tendono alla stessa anima – la veglia – ma che restano involute in personaggi irreali. La volontà – più volte espressa dal regista durante gli incontri con la stampa a Venezia – di mettere su pellicola lo stato di intorpidimento in cui versa il Paese diventa forse una trappola narrativa. In tutto il film, in ciascuna storia, la difesa a oltranza della vita – in ogni sua forma e stato – è nemesi della rinuncia. A vivere, a sperare, a esistere. In una sola parola a essere. Dunque, “Bella addormentata” convince solo se letta nelle sue aspirazioni. Sullo schermo, al contrario, scorre la retorica del racconto. Resta il distacco – emotivo e intellettuale – con l’opera stessa che smarrisce la sua anima intrappolata forse dalla sua stessa ambizione. Mettere in scena la sospensione diventa un peso troppo grande dentro cui si perdono personaggi e monologhi. Personalmente, rimane quasi un velo di malinconia e di rabbia per quello che “Bella addormentata” poteva essere e non è stato. L’incoscienza – intellettuale, emotiva, fisica – sarebbe potuta diventare una veglia, invece resta sonno profondo.