SAN BENEDETTO DEL TRONTO – Giuseppe Ayala, magistrato di punta nelle indagini e nei maxi processi di mafia, sarà in riviera per presentare il suo nuovo libro nell’ambito degli incontri con l’autore promossi dall’amministrazione comunale e la libreria La Bibliofila. Mercoledì alle ore 2.30 presso il Circolo Nautico Sambenedettese è l’appuntamento con “Troppe coincidenze”, libro pubblicato nel ventesimo anniversario delle Stragi di Capaci e via d’Amelio, analizzandone origini e conseguenze, presentato da Mimmo Minuto e Roberta Alessandrini.
IL LIBRO E L’AUTORE – Ayala ha dedicato la sua vita alla lotta alla criminalità e in questo testo racconta come si sta evolvendo la mafia in Italia lontano dai riflettori, il suo peso nel sistema economico attuale, il radicamento territoriale, i rapporti con la politica; spiega anche perché la mafia non è più solo un’emergenza meridionale ma un fantasma che si espande in tutto il Paese. “Ho vissuto negli ultimi trent’anni una striscia di tempo che mi sembra ancora appartenere alla cronaca. Alludo ai giorni in cui gli eventi della politica si intrecciarono con quelli criminali, sino al punto da marchiare la gran parte dei percorsi che hanno segnato il destino del paese.” Le stragi di Capaci e via d’Amelio del 1992, oltre a strappare a Giuseppe Ayala due colleghi e amici, apparvero a molti come un punto di svolta non solo nella storia della mafia, ma anche in quella dell’Italia intera. Sul fronte della giustizia lo Stato reagì con l’introduzione del 41 bis, il regime carcerario speciale per i mafiosi. Contemporaneamente il sistema politico, sotto i colpi di Tangentopoli, fu investito da una forte spinta popolare che determinò la fine della Prima Repubblica. L’Italia “sembrava volersi cancellare per riscriversi da cima a fondo con un linguaggio nuovo, ripulito da ogni nefandezza”. Da Capaci a via Palestro, da Tangentopoli alla Seconda Repubblica, dalla cattura di Bernardo Provenzano alle infiltrazioni della mafia al Nord, passando per le mancate riforme della giustizia, Ayala riflette su una stagione che si estende sino agli anni più recenti e ci svela che Cosa Nostra, anche se ha rinunciato al tritolo, non è morta. Anzi, lontano dai riflettori, ha ritrovato il suo habitat naturale mimetizzandosi in un’area grigia protetta da silenzi e omissioni.