ASCOLI PICENO – La procura di Ascoli Piceno ha chiesto il rinvio a giudizio di Alvaro Binni per l’omicidio di Rossella Goffo, la funzionaria della Prefettura di Ancona scomparsa dal capoluogo marchigiano il 4 maggio 2010 e ritrovata cadavere in un bosco di Colle San Marco il 5 gennaio 2011. Binni, tecnico di polizia della Questura ascolana è in carcere dallo scorso 15 febbraio con l’accusa di omicidio volontario e occultamento di cadavere, ma continua a proclamarsi innocente.
L’ACCUSA – Per la procura l’uomo, sposato e padre di quattro figli, voleva liberarsi di una relazione extraconiugale che stava minando la stabilità del suo matrimonio. Ma Rossella, a sua volta sposata, con un pediatra veneto, Roberto Girardi, e madre di due ragazzi, non voleva saperne di troncare il rapporto. Al contrario, sperava di andare a vivere con Binni, e proprio questo desiderio sarebbe stato l’esca usata dal presunto assassino per attirarla un’ultima volta nell’Ascolano, dove i due avevano contattato varie agenzie immobiliari, e ammazzarla.
I SOSTITUTI PROCURATORI CARMINE PIROZZOLI ED ETTORE PICARDI – A inchiodarlo, a loro dire, numerosi elementi di prova: in particolare i tabulati telefonici del cellulare, che collocano Binni a Colle San Marco il 4 maggio, quando Rossella viene strangolata, e il giorno successivo. Per gli inquirenti il 4 maggio, quando i due si incontrano ad Ancona, Rossella lascia l’auto in Prefettura e svuota l’appartamento che divide con due ragazze, portando con sé trolley, lenzuola, beauty case, pc e due cellulari. Era convinta di raggiungere Ascoli per sistemarsi qui con il tecnico, che invece le avrebbe teso una trappola per ucciderla. Alla vigilia dell’Epifania del 2011, un cane a passeggio con il padrone a Colle San Marco fiuta qualcosa nel terreno. Sotto uno strato sottile di terra ci sono delle ossa. Gli accertamenti e alcuni oggetti personali, tra cui un braccialetto, riconosciuto dal marito della Goffo, diranno che quei resti sono della funzionaria scomparsa. Una donna molto bella, lunghi capelli neri, che sui social network si presentava con un’identità diversa e vari anni di meno. Poi ci sono le tracce lasciate dal telefonino il pomeriggio del 4 maggio al Bosco dell’Impero, e non, come sostiene Binni, alla Fortezza Pisa. Il poliziotto sarebbe tornato a San Marco anche la mattina del 5; proprio al Bosco dell’Impero e non al bar il Cacciatore, la sua versione. Ora sarà il Gup a decidere se rinviare o meno a giudizio il poliziotto, che in tutto questo tempo non ha mai dato segni di cedimento: ”non sono stato io”.