Diaz di Daniele Vicari non può lasciare indifferenti. Che si stia a destra, a sinistra o comodamente seduti nel mezzo, non si riesce ad alzarsi dalla poltrona come se nulla fosse accaduto. Perché la differenza fondamentale rispetto al puro cinema, qui, è che qualcosa è effettivamente successo. Si parla dei giorni del 19, 20 e 21 luglio del 2001. Si parla “della macelleria messicana” a dirlo con le parole usate in tribunale dal vicequestore Fournier – nel film interpretato da Claudio Santamaria -. Carlo Giuliani è già morto e il bravo Vicari non si sofferma su quel fatto perché, allora, sarebbe davvero impossibile non venire soffocati dal gioco eterno e ipocrita delle colpe e delle responsabilità. Il regista mostra una Genova in cui non ci sono buoni e cattivi. Troppo facile cadere in questa trappola. Quello che si vede, qui, è una regia – dei fatti – evidentemente incapace, si vedono uomini – diventati bestie – che irrompono di notte in una scuola come cani feroci senza badare alle mani alzate, agli occhi insonnoliti, all’età avanzata di qualcuno, a chi piange, a chi è già ferito. Sono gli “utili idioti” di una storia italiana vergognosa, che Vicari ha il merito – finalmente – di consegnare alla memoria nazionale. Che si stia a destra, a sinistra o comodamente seduti nel mezzo, i fatti del G8, la morte di Carlo Giuliani (e si badi bene: morte e non uccisione, anche qui sarebbe troppo facile cadere sugli alibi e sulle colpe), l’irruzione nella scuola Diaz e le torture – perché tali furono – avvenute nella caserma di Bolzaneto, non possono essere dimenticati. Dimenticare è una grave malattia italiana, ma in questo caso il diritto all’oblio non è ammissibile. Vicari non commette l’errore di prendere le parti di qualcuno. Né, tuttavia, usa la mano leggera di fronte al pestaggio dei 93 ospiti della “Diaz”, 82 feriti, 63 ricoverati in ospedale (tre, le prognosi riservate), 20 con fratture ossee (alle mani e alle costole soprattutto, e poi alla mandibola, agli zigomi, al setto nasale, al cranio). E’ un film, insomma, che agita, innervosisce, muove la coscienza. E, soprattutto, ferisce. Se lo Stato siamo tutti noi, se la Polizia siamo tutti noi, il solo pensiero di essere inermi di fronte ai “tonfa” fa tremare le gambe. Non è questo un Paese civile, non è il Paese di cui andare fieri. Se è vero che di ragione di fronte al G8 di Genova non si può parlare, è vero, però, che nulla va dimenticato.
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